Lorenzo Lotto, Angelo Annunciante, Pinacoteca Civica di Jesi (già nella chiesa di San Floriano) |
Dicembre: tempo di
Avvento e di Natale.
Ma anche tempo di bilanci
preventivi per i Comuni della nostra Vallesina.
La scadenza di fine mese
costituisce una delle preoccupazioni maggiori per Sindaci, Assessori e
Consiglieri, costretti a praticare il difficile mestiere del sarto,
in una lotta impari tra gli innumerevoli bisogni delle comunità e le scarse
risorse disponibili.
Giornate trascorse ad
analizzare i numeri, nottate di confronto e scontro sulle singole poste: un
impegno affannoso con l’obiettivo di “tagliare” le spese non
indispensabili, individuare nuove fonti di entrata e, alla fine, tentare di “cucire”
un atto di programmazione credibile per l’anno a venire.
In questo marasma,
l’impresa più ardua è quella di scovare risorse aggiuntive, evitando, per
quanto possibile, il ricorso all’impopolare leva fiscale. Per rimpinguare le
casse o aumentare la capacità di spesa, ci si vede talvolta costretti, ad “imbastire”
manovre che, in termini tremontiani, potremmo definire di ”finanza creativa”.
Proprio come avvenne,
cento anni fa , a Jesi, quando la situazione di bilancio del Comune giunse
all’orlo del dissesto. Agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, la città
era attraversata dai venti di una forte crisi sociale.
Scrive Giuseppe Luconi
(“Jesi attraverso i secoli”): “Finita la prima guerra mondiale, l’Italia
attraversò uno dei periodi più difficili dopo l’unità nazionale. La percentuale
di disoccupati era altissima, l’inflazione notevole, la miseria toccava larghi
strati della popolazione. Agitazioni e scioperi si succedevano con sempre
maggiore frequenza”.
Per fronteggiare la grave
situazione in atto, l’Amministrazione Comunale - retta nel 1921 da un
monocolore repubblicano – valutò addirittura la possibilità di ipotecare i suoi
gioielli più preziosi, ovvero i
capolavori di Lorenzo Lotto.
Una scelta drammatica e
fonte di polemiche, tenendo anche conto della provenienza di tali opere.
Dopo la battaglia di
Castelfidardo (18 settembre 1860) e il Plebiscito per l’annessione al Regno
d’Italia (4 e 5 novembre 1860), anche per Jesi aveva avuto inizio il doloroso
periodo delle soppressioni.
Il Regio Commissario delle Marche Lorenzo
Valerio, di stanza a Senigallia, si era distinto per una politica di contrasto
verso il mondo ecclesiastico, disponendo l’incameramento del patrimonio delle
corporazioni religiose.
Nella Diocesi di Jesi,
i beni della Mensa Vescovile, del Capitolo, delle Confraternite e delle
Collegiate vennero espropriati, per essere assegnati ai Comuni del territorio
oppure venduti.
Analoga sorte toccò
alle comunità religiose e, prima tra tutte, a quella francescana.
I Frati Conventuali vennero espulsi da
San Floriano: la chiesa venne sconsacrata e nel 1869 diventò sede della
biblioteca comunale. I locali dell’ex convento furono, invece, adibiti ad
istituti scolastici.
I Padri Minori Riformati vennero
cacciati dal convento di San Francesco al Monte: la loro chiesa fu demolita e
l’annesso convento fece posto alla Casa di Riposo, ancora in funzione
nell’attuale via Gramsci.
Le opere d’arte presenti a San Floriano
e a San Francesco al Monte, entrarono forzatamente nel patrimonio del Comune di
Jesi. Tra queste, 6 straordinari dipinti di Lorenzo Lotto: la Deposizione, l’Angelo Annunciante, la Vergine
Annunciata, la Pala di Santa Lucia (provenienti da San Floriano), la Madonna
delle Rose e la Visitazione (provenienti da San Francesco al Monte).
Sessanta anni dopo, nel 1921,
due di queste opere (non sappiamo quali) rischiarono di diventare oggetto di
garanzia per un prestito. La temeraria iniziativa venne bloccata grazie al
provvidenziale intervento dell’autorità governativa.
Il 30 settembre 1921 il
Sovrintendente alle Gallerie e agli oggetti d’arte delle Marche formulò al
Sindaco di Jesi una lettera dai toni perentori: “Poiché è giunta notizia che
l’Amministrazione Comunale dalla S.V. presieduta intende per ottenere un
prestito far gravare d’ipoteca due dipinti di L. Lotto, si diffida la S.V. dal
compiere qualsiasi atto che possa comunque compromettere i dipinti del Lotto
esistenti nella Pinacoteca Civica”.
La vicenda – la cui
traccia documentale è pubblicata nel libro “Chiesa di San Francesco al
Monte, un tesoro d’arte da scoprire” di Maria Cristina Zanotti – è
l’emblema di una stridente antinomia tra la volontà encomiabile di rispondere
ai bisogni impellenti della cittadinanza e la tentazione sciagurata di
dilapidare i beni artistici di una comunità.
Per fortuna, cento anni
dopo, le opere di Lorenzo Lotto sono ancora al loro posto nella Pinacoteca. La
loro presenza è motivo di orgoglio civico e di attrazione turistica.
Non solo. Oggi è
finalmente chiaro a tutti che una seria politica di valorizzazione del patrimonio artistico può rappresentare
il volano dell’economia locale e dello sviluppo del territorio.
Detta in altri termini:
Lorenzo Lotto può aiutare la quadratura del Bilancio!
Mauro Torelli
fonte: Vice della Vallesina, 15 dicembre 2019
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