Il 4 ottobre del 2026 tornerà a essere la festa nazionale di San Francesco. È un’ipotesi che si sta concretizzando, alla luce di una proposta avanzata lo scorso anno ad Assisi dal poeta Davide Rondoni che attualmente ricopre l’incarico di presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni dell’ottavo centenario della morte del santo.
Il 2026 sarà costellato di eventi dedicati a questa ricorrenza che vede già fiorire numerose iniziative. Gli anni appena trascorsi sono stati contraddistinti dalla memoria di altre tappe essenziali nella vita del povero di Assisi: il primo Presepe a Greccio, le Stimmate, la composizione del Cantico delle Creature.
Ci è data l’opportunità di vivere la tempesta molto tragica del presente sentendoci affiancati dalla presenza di un uomo santo, e Patrono d’Italia, che visse fino in fondo la prostrazione, e ne fece germogliare una voce di letizia. Questo è lo sfondo sostanziale di queste ricorrenze e anche il motivo per celebrare nuovamente una festa nazionale che esisteva ed è stata ridotta a festa civile nel 1977.
Dalla proposta di Rondoni si è arrivati a un provvedimento che è attualmente al vaglio del Governo (il 17 settembre si è votato alla Camera, poi si passerà alla valutazione del Senato) ed è frutto di due testi presentati da Maurizio Lupi (Noi moderati) e Lorenzo Malagola (Fratelli d’Italia). La relatrice alla Camera è stata Elisabetta Gardini (Fratelli d’Italia) che ha spiegato: «Si tratta di riconoscere che i valori incarnati da San Francesco, la pace, la fraternità, la solidarietà, la cura degli ultimi, il rispetto per la natura sono oggi più che mai necessari e sono valori che parlano a tutti, credenti e non credenti».
Non sarà una festività obbligatoria, ed è una precisazione su cui la Commissione Bilancio ha insistito per non gravare ulteriormente sulle casse degli istituti scolastici e sulle amministrazioni locali. L’invito, dunque, è quello di cogliere l’occasione della festa per favorire attività culturali, iniziative di approfondimento educativo che mettano a tema i valori di cui ha dato testimonianza san Francesco. Povertà, attenzione al creato, accoglienza dell’altro e pace. Sono temi, apparentemente, in perfetta sintonia con molte urgenze attuali.
Ma il santo di Assisi non fu semplicemente un ambientalista ante litteram e neppure un visionario romantico, per questo abbiamo chiesto a Davide Rondoni un affondo sul motivo autentico per cui è un segno essenziale che il nostro calendario sia dettato, anche, dal passo di Francesco.
Come presidente del Comitato san Francesco hai lanciato la proposta di ripristinare la festa nazionale del 4 ottobre. Qual è la situazione allo stato attuale?
Ho lanciato la proposta il 4 ottobre dell’anno scorso ad Assisi, sottolineando che il santo della pace, il santo dei malati, il santo che ci salvò dagli estremismi religiosi deve essere posto al centro dell’attenzione. Questo invito è stato ascoltato sia dalla premier Meloni sia dalle altre forze politiche che hanno messo in moto l’iter parlamentare per arrivare alla conclusione, in modo che il 4 ottobre del 2026 si possa celebrare definitivamente. Si è votato alla Camera, poi si passerà al Senato. Spero che non ci si divida su San Francesco.
Una possibile obiezione potrebbe essere sul fatto che la cronaca ci impone di inquadrare la nostra attualità come crivellata di guerre, di criticità drammatiche. Rispetto alle priorità ritenute imprescindibili, tirare fuori la parola «festa» potrebbe sembrare fuori luogo o di importanza molto secondaria. Perché abbiamo bisogno di questa celebrazione?
La festa dedicata a un santo ha proprio lo scopo di ricordarci che abbiamo dei patroni in cielo e non dei padroni sulla Terra. La povertà, tanto elogiata nella storia di Francesco, è riconoscere che non siamo i padroni nel mondo e non siamo i padroni di nessuno. Mai come adesso è urgente ricordarci di questo, che anche i signori della guerra non sono i padroni del mondo. Avere dei patroni in cielo aiuta a mettere a fuoco, a dire con chiarezza non solo che i grandi poteri fanno la guerra, ma che fanno la guerra nella vita delle persone, con l’alleanza di molte persone.
Nel sentire comune, il giorno di festa è un giorno in cui ci si ferma, ci si riposa. Possiamo intenderlo come un invito a fermarci, a riconsiderare che il tempo non è una nostra proprietà di cui abbuffarci e di cui spremere ogni secondo? Penso, banalmente, alle attività che sono aperte h 24 e 7 giorni su 7. Dobbiamo farci aiutare dai santi a scandire il tempo?
La festa è un segno offerto a chi vuole, ovviamente, non è obbligatoria. Si può festeggiare oppure no, ma è un segno. Più che sul tempo, insisterei proprio sul segno. Una civiltà che non lascia segni, lascia solo i marchi. È molto importante riaffermare il valore dei segni che san Francesco ha lasciato a tutta la civiltà europea. Sul tema, invece, del fermarci e della lentezza sono un po’ titubante. Riduciamo i termini della questione all’essere di corsa o andare lenti. Il punto non è se uno si ferma o non si ferma, ma a cosa guarda mentre va, e che ci siano dei segni mentre uno va rende migliore il cammino. Si può essere contemplativi anche di corsa.
Fonte: Tempi, settembre 2025
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