Da oltre
un anno, l'Arcidiocesi di Ancona-Osimo è al lavoro per preparare le
celebrazioni dell'ottavo centenario della partenza di San Francesco d'Assisi
dal porto di Ancona (giugno 1219) con destinazione verso la terra dei Saraceni.
Per l'occasione, Papa Francesco è
stato invitato a recarsi in visita nel capoluogo della nostra Regione.
L'Arcivescovo Angelo Spina ha indirizzato ai fedeli la sua prima lettera
pastorale dal titolo: "Con lo
sguardo di S. Francesco d'Assisi”.
Il biografo Bonaventura da Bagnoregio
racconta che:"l'ardore della
carità spingeva Francesco al martirio; sicché (...) tentò di partire verso i
paesi infedeli, per diffondere, con l'effusione del proprio sangue, la fede
nella Trinità. A tredici anni dalla sua conversione, partì verso le regioni
della Siria, affrontando coraggiosamente molti pericoli, al fine di potersi
presentare al cospetto del Soldano di Babilonia" (Leggenda
Maggiore, 1172)
Il Santo, durante lo svolgimento
della Quinta Crociata, approdò, insieme
ad un gruppo di frati, nel nord della Palestina, precisamente a S. Giovanni
d'Acri, all’epoca quartiere generale dell’esercito cristiano. Dopo qualche
mese, giunse alla corte del Sultano Al Malik-Al Kamil nella città di Damietta,
situata sul delta del Nilo, a circa 200 km a nord del Cairo.
Diversi racconti, talvolta
scarsamente attendibili sul piano storico, hanno rievocato la vicenda di
quell’incontro. E’, ad esempio, da escludere la veridicità dell’episodio
dell’ordalia o, “prova del fuoco”, attraverso la quale il Santo avrebbe sfidato
i capi religiosi musulmani per dimostrare quale, tra le fedi cristana e
islamica, fosse autentica.
Il cardinal Jacques de Vitry,
contemporaneo di Francesco e scevro da preoccupazioni agiografiche, non nascose
che, sotto il profilo del proselitismo, il Santo “predicò ai
Saraceni la parola di Dio, ma con poco profitto”.
Certamente il frutto migliore di
quella missione maturò al rientro in Italia, allorquando, all’interno della Regola non
bollata (1221), Francesco formulò un capitolo intero dal titolo “Di coloro
che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli”.
Forte dell’esperienza vissuta, il
Santo delineò un metodo operativo, ad uso dei frati, da utilizzare nel dialogo
interreligioso.
Si rimane sorpresi per
l’attualità delle indicazioni: il primo comportamento consiste nell’evitare
liti o dispute ma, allo stesso tempo, nel proclamare, senza infingimenti, la
propria fede cristiana. In un periodo in cui lo scontro tra civiltà aveva
raggiunto l’acme, Francesco invita i suoi frati ad essere cortesi con tutti,
non arretrando, tuttavia, rispetto alle proprie convinzioni.
In altri termini, non è possibile
disgiungere lo spirito di accoglienza dalla testimonianza.
Il secondo comportamento si
concretizza nell’annuncio diretto della Parola, non con sentimenti di
prevaricazione, ma valutando il tempo opportuno, ovverosia allorquando i frati
“vedranno
che piace al Signore”.
Non esistono, quindi, programmi
di conversione di massa, ma, al contrario, una prudente azione di
discernimento.
Le ormai prossime celebrazioni
anconetane, suscitano motivi di interesse storico-geografico, oltrechè
religioso, non solo per Ancona, ma anche per il territorio della diocesi di
Jesi.
Padre Giancarlo Corsini, già
Ministro Provinciale dell’Ordine dei Frati Conventuali, ha ricostruito il
percorso affrontato da Francesco per raggiungere il mare.
Il Santo toccò Gualdo Tadino, la
cima del Monte Serrasanta, Campodonico, Madonna del Sasso, Valleremita,
Fabriano, Albacina, Poggio San Romualdo, Valdicastro, Favete di Apiro,
Cupramontana, San Paolo di Jesi, Santa Paolina, Filottrano, Osimo e,
infine, Ancona, per un totale di 190 km.
Nella
nostra zona, per l’appunto, Francesco discese da Cupramontana per raggiungere
San Paolo.
Quale
potrebbe essere stato il suo itinerario?
L’ipotesi
che ci sentiamo di avanzare prevede il transito per l’attuale Contrada San
Michele, già chiamata S. Michele de Quadrigaria, probabilmente per l’esistenza
in loco di un quadrivio (cfr. R. Ciccarelli, Le strade raccontano,
1991). Nella contrada era attestata, a partire dal XII secolo, la presenza di
un eremo di monaci camaldolesi.
La
strada prosegue per Contrada Follonica, dove,
all’epoca di Francesco, sorgeva un castello, di cui sono tuttora
visibili i ruderi. Il luogo rivestiva una rilevante importanza strategica, in
quanto situato al confine tra il Contado di Jesi e quello di Osimo. Vicino alla
rocca, si ergeva la chiesa di Santa Maria di Follonica, citata da Antonio
Gianandrea con uno specifico riferimento proprio all’anno 1219.
La
questione, ricca di suggestioni, è degna di approfondimento. Ci sembra, infatti,
non indifferente che lo sguardo di
Francesco (quello “sguardo fresco sul mondo nuovo” di cui parlava
Chesterton) si sia posato, ottocento anni fa, sulle colline della nostra Vallesina.
Mauro
Torelli
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