La ritrosia
è, da sempre, la cifra che caratterizza i marchigiani, in qualunque settore
si trovino ad operare.
Non vi è
eccezione per il campo delle arti e della cultura.
Se si
escludono poche figure assurte alla gloria internazionale, molto spesso è prevalsa, nei nostri
conterranei, una tendenza - talvolta
addirittura compiaciuta - al silenzio,
al nascondimento e all’autoemarginazione.
Questo
sigillo ha segnato anche il pittore jesino Betto Tesei (1898 – 1953), del
quale, esattamente a 120 anni dalla nascita,
una importante mostra riporta alla luce l’esperienza pittorica ed umana
(Palazzo Pianetti, dal 20 giugno al 30 settembre).
E’ merito
dei curatori (Roberto Cresti dell’Università di Macerata e Simona Cardinali
della Pinacoteca Civica di Jesi) aver sottratto all’oblio un protagonista della
vicenda artistica regionale e nazionale,
purtroppo dimenticato dai suoi stessi concittadini.
Probabilmente
Tesei ebbe il “torto” di non aderire alle correnti stilistiche d’avanguardia
degli anni ‘20, privilegiando, invece, un percorso artistico nostalgico, nel
solco dei macchiaioli e della straordinaria esperienza pittorica del Seicento.
Proprio per
quell’epoca aurea era riemerso un rinnovato interesse, a motivo di una grande
mostra nazionale svoltasi a Palazzo Pitti nel 1922, destinata ad influenzare il
pensiero artistico contemporaneo.
Betto aveva
compiuto i suoi primi studi all’Accademia di Belle Arti di Urbino sotto la
guida di Luigi Scorrano, esponente dell’ultimo naturalismo napoletano.
Appena
ventenne, si era, poi, trasferito nella capitale, dove aveva assimilato i principi stilistici del “Secentismo
plastico”, ovverosia quella lezione chiaroscurale di matrice caravaggesca, di
cui aveva sicuramente avuto esperienza contemplando le Storie di San Matteo
in San Luigi dei Francesi.
Nel percorso
espositivo di Palazzo Pianetti, il visitatore potrà prendere coscienza dei
generi artistici “frequentati” da Betto: la ritrattistica (in particolare il
nudo), le nature morte e i paesaggi.
Non a caso
il critico Remigio Strinati aveva definito Betto con i titoli di ”paesista e
pittor di figura”, che “vede nella natura il bel colore che canta, la
chiara luce che sprizza nelle cose”.
Rarissimi i
soggetti religiosi, ma tra questi spicca un sorprendente “San Francesco” (1926), presentato a Roma in occasione della Esposizione Giovane Arte
Picena.
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Voce della Vallesina, 15 luglio 2018 |
Il quadro,
ispirato al racconto del biografo Bonaventura, ritrae il Santo di Assisi con lo
sguardo estatico rivolto al cielo, le braccia incrociate sul petto e le mani
piagate dalle stigmate, appena ricevute sul monte della Verna.
“La costruzione, il rilievo prendono il
sopravvento nella figura di San Francesco, tanto da rasentare il realismo, la
secchezza. Ma anche in questa discussa pittura, chi come il Tesei, sa
disegnar quelle mani in croce, chi sa
investirle di così ricche luminosità, che pare sgorghino da una fonte
sovrumana, non è uno (…) che rada il suolo, destinato a perdersi nella folla”
(Strinati).
Per l’uso
della luce, forte è il richiamo al San Francesco in estasi di Caravaggio,
ma resta ancora non chiarito il movente che condusse Tesei alla scelta del
soggetto religioso, effettivamente non consono alle sue abitudini.
Possiamo,
tuttavia, supporre che l’opzione sia stata sostenuta ed incentivata dalla straordinaria
temperie francescana nella quale l’Italia si trovò immersa negli anni venti
dello scorso secolo.
Proprio
nel 1926, cadde il settimo centenario della morte del Santo di Assisi.
Per
l’occasione, sia la Chiesa, guidata da Pio XI, che il Governo, presieduto da
Benito Mussolini, entrarono in competizione per celebrare il Santo, in una
situazione politico-diplomatica in cui erano ancora lontani i tempi dei Patti
Lateranensi (1929).
Nell’aprile
del 1926, Papa Ratti scrisse l’enciclica Rite
Expiatis con l’obiettivo di ridestare nel popolo cattolico lo spirito di Francesco, richiamandone alla memoria gli insegnamenti e
gli esempi di vita (“Nostro desiderio è
che le feste religiose e civili, le conferenze e i discorsi sacri che si
terranno in questo centenario mirino a che si celebri con manifestazioni di
vera pietà il Serafico Patriarca”).
L’enciclica ebbe notevole risonanza, anche per una certa vena
polemica nei confronti di quei tentativi (soprattutto di matrice fascista) di
strumentalizzare la figura del Santo per obiettivi impropri, quali
l’esaltazione dell’italianità (il più Santo fra gli Italiani, il più italiano fra i
Santi).
Il Papa mise in guardia i fedeli invitandoli a “rifuggire
da quell’immaginaria figura che del Santo volentieri si formano i fautori degli
errori moderni o i seguaci del lusso e delle delicatezze mondane (…) Tali
paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane, non riescono di nessun
vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio, autore della santità”.
In questo contesto ricco di suggestioni spirituali
(ma anche di sollecitazioni esterne di ispirazione laicista), fu concepito il San Francesco di Betto Tesei, il quale
dimostrò, pur da giovane, di non essere pittore superficiale, ma artista
riflessivo e consapevole.
In altri termini, un uomo non “destinato a
perdersi nella folla”, al quale dovranno auspicabilmente essere dedicate
ulteriori iniziative di studio e ricerca.
Condividiamo l’idea del Prof. Cresti secondo cui
il “caso Tesei” si è appena aperto;
altri daranno il loro contributo a ulteriori chiarimenti e ipotesi di carattere
sia locale che nazionale.
Mauro Torelli
fonte: Voce della Vallesina, luglio 2018
fonte: Voce della Vallesina, luglio 2018