sabato 11 agosto 2018

Betto Tesei: omaggio a San Francesco d'Assisi


La ritrosia è, da sempre, la cifra che caratterizza i marchigiani, in qualunque settore si trovino ad operare.
Non vi è eccezione per il campo delle arti e della cultura.
Se si escludono poche figure assurte alla gloria internazionale,  molto spesso è prevalsa, nei nostri conterranei, una tendenza -  talvolta addirittura compiaciuta -  al silenzio, al nascondimento e all’autoemarginazione.
Questo sigillo ha segnato anche il pittore jesino Betto Tesei (1898 – 1953), del quale, esattamente a 120 anni dalla nascita,  una importante mostra riporta alla luce l’esperienza pittorica ed umana (Palazzo Pianetti, dal 20 giugno al 30 settembre).
E’ merito dei curatori (Roberto Cresti dell’Università di Macerata e Simona Cardinali della Pinacoteca Civica di Jesi) aver sottratto all’oblio un protagonista della vicenda artistica  regionale e nazionale, purtroppo dimenticato dai suoi stessi concittadini.
Probabilmente Tesei ebbe il “torto” di non aderire alle correnti stilistiche d’avanguardia degli anni ‘20, privilegiando, invece, un percorso artistico nostalgico, nel solco dei macchiaioli e della straordinaria esperienza pittorica del Seicento.
Proprio per quell’epoca aurea era riemerso un rinnovato interesse, a motivo di una grande mostra nazionale svoltasi a Palazzo Pitti nel 1922, destinata ad influenzare il pensiero artistico contemporaneo.
Betto aveva compiuto i suoi primi studi all’Accademia di Belle Arti di Urbino sotto la guida di Luigi Scorrano, esponente dell’ultimo naturalismo napoletano.
Appena ventenne, si era, poi, trasferito nella capitale, dove aveva  assimilato i principi stilistici del “Secentismo plastico”, ovverosia quella lezione chiaroscurale di matrice caravaggesca, di cui aveva sicuramente avuto esperienza contemplando le Storie di San Matteo in San Luigi dei Francesi.
Nel percorso espositivo di Palazzo Pianetti, il visitatore potrà prendere coscienza dei generi artistici “frequentati” da Betto: la ritrattistica (in particolare il nudo), le nature morte e i paesaggi.
Non a caso il critico Remigio Strinati aveva definito Betto con i titoli di ”paesista e pittor di figura”, che “vede nella natura il bel colore che canta, la chiara luce che sprizza nelle cose”.
Rarissimi i soggetti religiosi, ma tra questi spicca un sorprendente “San Francesco” (1926), presentato a Roma  in occasione della Esposizione Giovane Arte Picena.

Voce della Vallesina, 15 luglio 2018

Il quadro, ispirato al racconto del biografo Bonaventura, ritrae il Santo di Assisi con lo sguardo estatico rivolto al cielo, le braccia incrociate sul petto e le mani piagate dalle stigmate, appena ricevute sul monte della Verna.
La costruzione, il rilievo prendono il sopravvento nella figura di San Francesco, tanto da rasentare il realismo, la secchezza. Ma anche in questa discussa pittura, chi come il Tesei, sa disegnar  quelle mani in croce, chi sa investirle di così ricche luminosità, che pare sgorghino da una fonte sovrumana, non è uno (…) che rada il suolo, destinato a perdersi nella folla” (Strinati).
Per l’uso della luce, forte è il richiamo al San Francesco in estasi di Caravaggio, ma resta ancora non chiarito il movente che condusse Tesei alla scelta del soggetto religioso, effettivamente non consono alle sue abitudini.
Possiamo, tuttavia, supporre che l’opzione sia stata sostenuta ed incentivata dalla straordinaria temperie francescana nella quale l’Italia si trovò immersa negli anni venti dello scorso secolo.
Proprio nel 1926, cadde il settimo centenario della morte del Santo di Assisi. 
Per l’occasione, sia la Chiesa, guidata da Pio XI, che il Governo, presieduto da Benito Mussolini, entrarono in competizione per celebrare il Santo, in una situazione politico-diplomatica in cui erano ancora lontani i tempi dei Patti Lateranensi (1929).
Nell’aprile del 1926, Papa Ratti scrisse l’enciclica Rite Expiatis con l’obiettivo di ridestare nel popolo cattolico lo spirito di Francesco,  richiamandone alla memoria gli insegnamenti e gli esempi di vita (“Nostro desiderio è che le feste religiose e civili, le conferenze e i discorsi sacri che si terranno in questo centenario mirino a che si celebri con manifestazioni di vera pietà il Serafico Patriarca”).
L’enciclica ebbe notevole risonanza, anche per una certa vena polemica nei confronti di quei tentativi (soprattutto di matrice fascista) di strumentalizzare la figura del Santo per obiettivi impropri, quali l’esaltazione dell’italianità (il più Santo fra gli Italiani, il più italiano fra i Santi).
Il Papa mise in guardia i fedeli invitandoli a “rifuggire da quell’immaginaria figura che del Santo volentieri si formano i fautori degli errori moderni o i seguaci del lusso e delle delicatezze mondane (…) Tali paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane, non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio, autore della santità”.
In questo contesto ricco di suggestioni spirituali (ma anche di sollecitazioni esterne di ispirazione laicista), fu concepito il San Francesco di Betto Tesei, il quale dimostrò, pur da giovane, di non essere pittore superficiale, ma artista riflessivo e consapevole.
In altri termini, un uomo non “destinato a perdersi nella folla”, al quale dovranno auspicabilmente essere dedicate ulteriori iniziative di studio e ricerca.
Condividiamo l’idea del Prof. Cresti secondo cui il “caso Tesei” si è appena aperto; altri daranno il loro contributo a ulteriori chiarimenti e ipotesi di carattere sia locale che nazionale.


                                                                                                               Mauro Torelli

fonte: Voce della Vallesina, luglio 2018

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Voce della Vallesina, 17 giugno 2018

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