mercoledì 25 dicembre 2019

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

Pietro Paolo Agabiti, Natività, 1528,
già nella chiesa di San Francesco al Monte.
Oggi nella Pinacoteca Civica di Jesi

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 2,1-14


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

sabato 21 dicembre 2019

Alla scuola di San Francesco: il mirabile segno del presepe

LETTERA APOSTOLICA
Admirabile signum

DEL SANTO PADRE
FRANCESCO

SUL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL PRESEPE

Presepio 2019 della Confraternita Jesina dei Mastri Presepai

1. Il mirabile segno del presepe, così caro al popolo cristiano, suscita sempre stupore e meraviglia. Rappresentare l’evento della nascita di Gesù equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia. Il presepe, infatti, è come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo. E scopriamo che Egli ci ama a tal punto da unirsi a noi, perché anche noi possiamo unirci a Lui.

Con questa Lettera vorrei sostenere la bella tradizione delle nostre famiglie, che nei giorni precedenti il Natale preparano il presepe. Come pure la consuetudine di allestirlo nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri, nelle piazze... È davvero un esercizio di fantasia creativa, che impiega i materiali più disparati per dare vita a piccoli capolavori di bellezza. Si impara da bambini: quando papà e mamma, insieme ai nonni, trasmettono questa gioiosa abitudine, che racchiude in sé una ricca spiritualità popolare. Mi auguro che questa pratica non venga mai meno; anzi, spero che, là dove fosse caduta in disuso, possa essere riscoperta e rivitalizzata.

2. L’origine del presepe trova riscontro anzitutto in alcuni dettagli evangelici della nascita di Gesù a Betlemme. L’Evangelista Luca dice semplicemente che Maria «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (2,7). Gesù viene deposto in una mangiatoia, che in latino si dice praesepium, da cui presepe.

Entrando in questo mondo, il Figlio di Dio trova posto dove gli animali vanno a mangiare. Il fieno diventa il primo giaciglio per Colui che si rivelerà come «il pane disceso dal cielo» (Gv 6,41). Una simbologia che già Sant’Agostino, insieme ad altri Padri, aveva colto quando scriveva: «Adagiato in una mangiatoia, divenne nostro cibo» (Serm. 189,4). In realtà, il presepe contiene diversi misteri della vita di Gesù e li fa sentire vicini alla nostra vita quotidiana.

Ma veniamo subito all’origine del presepe come noi lo intendiamo. Ci rechiamo con la mente a Greccio, nella Valle Reatina, dove San Francesco si fermò venendo probabilmente da Roma, dove il 29 novembre 1223 aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della sua Regola. Dopo il suo viaggio in Terra Santa, quelle grotte gli ricordavano in modo particolare il paesaggio di Betlemme. Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo dove si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia.

Le Fonti Francescane raccontano nei particolari cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello»Appena l’ebbe ascoltato, il fedele amico andò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del Santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti.

La ricostruzione dell'episodio di Greccio (Presepio CJMP 2019)


È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero.
Il primo biografo di San Francesco, Tommaso da Celano, ricorda che quella notte, alla scena semplice e toccante s’aggiunse anche il dono di una visione meravigliosa: uno dei presenti vide giacere nella mangiatoia Gesù Bambino stesso. Da quel presepe del Natale 1223, «ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia».

3. San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione. Il suo insegnamento è penetrato nel cuore dei cristiani e permane fino ai nostri giorni come una genuina forma per riproporre la bellezza della nostra fede con semplicità. D’altronde, il luogo stesso dove si realizzò il primo presepe esprime e suscita questi sentimenti. Greccio diventa un rifugio per l’anima che si nasconde sulla roccia per lasciarsi avvolgere nel silenzio.

Perché il presepe suscita tanto stupore e ci commuove? Anzitutto perché manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato.

Comporre il presepe nelle nostre case ci aiuta a rivivere la storia che si è vissuta a Betlemme. Naturalmente, i Vangeli rimangono sempre la fonte che permette di conoscere e meditare quell’Avvenimento; tuttavia, la sua rappresentazione nel presepe aiuta ad immaginare le scene, stimola gli affetti, invita a sentirsi coinvolti nella storia della salvezza, contemporanei dell’evento che è vivo e attuale nei più diversi contesti storici e culturali.

In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).

4. Mi piace ora passare in rassegna i vari segni del presepe per cogliere il senso che portano in sé. In primo luogo, rappresentiamo il contesto del cielo stellato nel buio e nel silenzio della notte. Non è solo per fedeltà ai racconti evangelici che lo facciamo così, ma anche per il significato che possiede. Pensiamo a quante volte la notte circonda la nostra vita. Ebbene, anche in quei momenti, Dio non ci lascia soli, ma si fa presente per rispondere alle domande decisive che riguardano il senso della nostra esistenza: chi sono io? Da dove vengo? Perché sono nato in questo tempo? Perché amo? Perché soffro? Perché morirò? Per dare una risposta a questi interrogativi Dio si è fatto uomo. La sua vicinanza porta luce dove c’è il buio e rischiara quanti attraversano le tenebre della sofferenza (cfr Lc 1,79).

Una parola meritano anche i paesaggi che fanno parte del presepe e che spesso rappresentano le rovine di case e palazzi antichi, che in alcuni casi sostituiscono la grotta di Betlemme e diventano l’abitazione della Santa Famiglia. Queste rovine sembra che si ispirino alla Legenda Aurea del domenicano Jacopo da Varazze (secolo XIII), dove si legge di una credenza pagana secondo cui il tempio della Pace a Roma sarebbe crollato quando una Vergine avesse partorito. Quelle rovine sono soprattutto il segno visibile dell’umanità decaduta, di tutto ciò che va in rovina, che è corrotto e intristito. Questo scenario dice che Gesù è la novità in mezzo a un mondo vecchio, ed è venuto a guarire e ricostruire, a riportare la nostra vita e il mondo al loro splendore originario.

5. Quanta emozione dovrebbe accompagnarci mentre collochiamo nel presepe le montagne, i ruscelli, le pecore e i pastori! In questo modo ricordiamo, come avevano preannunciato i profeti, che tutto il creato partecipa alla festa della venuta del Messia. Gli angeli e la stella cometa sono il segno che noi pure siamo chiamati a metterci in cammino per raggiungere la grotta e adorare il Signore.

«Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2,15): così dicono i pastori dopo l’annuncio fatto dagli angeli. È un insegnamento molto bello che ci proviene nella semplicità della descrizione. A differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe.


Jesi, Corte Bettini - Presepio opera di Vinicio Passarelli

6. Nei nostri presepi siamo soliti mettere tante statuine simboliche. Anzitutto, quelle di mendicanti e di gente che non conosce altra abbondanza se non quella del cuore. Anche loro stanno vicine a Gesù Bambino a pieno titolo, senza che nessuno possa sfrattarle o allontanarle da una culla talmente improvvisata che i poveri attorno ad essa non stonano affatto. I poveri, anzi, sono i privilegiati di questo mistero e, spesso, coloro che maggiormente riescono a riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi.

I poveri e i semplici nel presepe ricordano che Dio si fa uomo per quelli che più sentono il bisogno del suo amore e chiedono la sua vicinanza. Gesù, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), è nato povero, ha condotto una vita semplice per insegnarci a cogliere l’essenziale e vivere di esso. Dal presepe emerge chiaro il messaggio che non possiamo lasciarci illudere dalla ricchezza e da tante proposte effimere di felicità. Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato.

Spesso i bambini – ma anche gli adulti! – amano aggiungere al presepe altre statuine che sembrano non avere alcuna relazione con i racconti evangelici. Eppure, questa immaginazione intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c’è spazio per tutto ciò che è umano e per ogni creatura. Dal pastore al fabbro, dal fornaio ai musicisti, dalle donne che portano le brocche d’acqua ai bambini che giocano…: tutto ciò rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni, quando Gesù condivide con noi la sua vita divina.

7. Poco alla volta il presepe ci conduce alla grotta, dove troviamo le statuine di Maria e di Giuseppe. Maria è una mamma che contempla il suo bambino e lo mostra a quanti vengono a visitarlo. La sua statuetta fa pensare al grande mistero che ha coinvolto questa ragazza quando Dio ha bussato alla porta del suo cuore immacolato. All’annuncio dell’angelo che le chiedeva di diventare la madre di Dio, Maria rispose con obbedienza piena e totale. Le sue parole: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), sono per tutti noi la testimonianza di come abbandonarsi nella fede alla volontà di Dio. Con quel “sì” Maria diventava madre del Figlio di Dio senza perdere, anzi consacrando grazie a Lui la sua verginità. Vediamo in lei la Madre di Dio che non tiene il suo Figlio solo per sé, ma a tutti chiede di obbedire alla sua parola e metterla in pratica (cfr Gv 2,5).


La ricostruzione dell'incontro tra San Francesco e Federico II, ipotizzato nel 1220, al rientro del Santo dalla Palestina (Presepio 2019 della CJMP)


Accanto a Maria, in atteggiamento di proteggere il Bambino e la sua mamma, c’è San Giuseppe. In genere è raffigurato con il bastone in mano, e a volte anche mentre regge una lampada. San Giuseppe svolge un ruolo molto importante nella vita di Gesù e di Maria. Lui è il custode che non si stanca mai di proteggere la sua famiglia. Quando Dio lo avvertirà della minaccia di Erode, non esiterà a mettersi in viaggio ed emigrare in Egitto (cfr Mt 2,13-15). E una volta passato il pericolo, riporterà la famiglia a Nazareth, dove sarà il primo educatore di Gesù fanciullo e adolescente. Giuseppe portava nel cuore il grande mistero che avvolgeva Gesù e Maria sua sposa, e da uomo giusto si è sempre affidato alla volontà di Dio e l’ha messa in pratica.

8. Il cuore del presepe comincia a palpitare quando, a Natale, vi deponiamo la statuina di Gesù Bambino. Dio si presenta così, in un bambino, per farsi accogliere tra le nostre braccia. Nella debolezza e nella fragilità nasconde la sua potenza che tutto crea e trasforma. Sembra impossibile, eppure è così: in Gesù Dio è stato bambino e in questa condizione ha voluto rivelare la grandezza del suo amore, che si manifesta in un sorriso e nel tendere le sue mani verso chiunque.

La nascita di un bambino suscita gioia e stupore, perché pone dinanzi al grande mistero della vita. Vedendo brillare gli occhi dei giovani sposi davanti al loro figlio appena nato, comprendiamo i sentimenti di Maria e Giuseppe che guardando il bambino Gesù percepivano la presenza di Dio nella loro vita.

«La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione. Il presepe ci fa vedere, ci fa toccare questo evento unico e straordinario che ha cambiato il corso della storia, e a partire dal quale anche si ordina la numerazione degli anni, prima e dopo la nascita di Cristo.

Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita.

9. Quando si avvicina la festa dell’Epifania, si collocano nel presepe le tre statuine dei Re Magi. Osservando la stella, quei saggi e ricchi signori dell’Oriente si erano messi in cammino verso Betlemme per conoscere Gesù, e offrirgli in dono oro, incenso e mirra. Anche questi regali hanno un significato allegorico: l’oro onora la regalità di Gesù; l’incenso la sua divinità; la mirra la sua santa umanità che conoscerà la morte e la sepoltura.
Guardando questa scena nel presepe siamo chiamati a riflettere sulla responsabilità che ogni cristiano ha di essere evangelizzatore. Ognuno di noi si fa portatore della Bella Notizia presso quanti incontra, testimoniando la gioia di aver incontrato Gesù e il suo amore con concrete azioni di misericordia.

I Magi insegnano che si può partire da molto lontano per raggiungere Cristo. Sono uomini ricchi, stranieri sapienti, assetati d’infinito, che partono per un lungo e pericoloso viaggio che li porta fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Davanti al Re Bambino li pervade una gioia grande. Non si lasciano scandalizzare dalla povertà dell’ambiente; non esitano a mettersi in ginocchio e ad adorarlo. Davanti a Lui comprendono che Dio, come regola con sovrana sapienza il corso degli astri, così guida il corso della storia, abbassando i potenti ed esaltando gli umili. E certamente, tornati nel loro Paese, avranno raccontato questo incontro sorprendente con il Messia, inaugurando il viaggio del Vangelo tra le genti.




10. Davanti al presepe, la mente va volentieri a quando si era bambini e con impazienza si aspettava il tempo per iniziare a costruirlo. Questi ricordi ci inducono a prendere sempre nuovamente coscienza del grande dono che ci è stato fatto trasmettendoci la fede; e al tempo stesso ci fanno sentire il dovere e la gioia di partecipare ai figli e ai nipoti la stessa esperienza. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta, è che esso parli alla nostra vita. Dovunque e in qualsiasi forma, il presepe racconta l’amore di Dio, il Dio che si è fatto bambino per dirci quanto è vicino ad ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi.

Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

Dato a Greccio, nel Santuario del Presepe, 1° dicembre 2019, settimo del pontificato.


FRANCESCO


venerdì 20 dicembre 2019

La quadratura del Bilancio comunale

Lorenzo Lotto, Angelo Annunciante, Pinacoteca Civica di Jesi
(già nella chiesa di San Floriano)



Dicembre: tempo di Avvento e di Natale.
Ma anche tempo di bilanci preventivi per i Comuni della nostra Vallesina.

La scadenza di fine mese costituisce una delle preoccupazioni maggiori per Sindaci, Assessori e Consiglieri, costretti a praticare il difficile mestiere del sarto, in una lotta impari tra gli innumerevoli bisogni delle comunità e le scarse risorse disponibili.
Giornate trascorse ad analizzare i numeri, nottate di confronto e scontro sulle singole poste: un impegno affannoso con l’obiettivo di “tagliare” le spese non indispensabili, individuare nuove fonti di entrata e, alla fine, tentare di “cucire” un atto di programmazione credibile per l’anno a venire.

In questo marasma, l’impresa più ardua è quella di scovare risorse aggiuntive, evitando, per quanto possibile, il ricorso all’impopolare leva fiscale. Per rimpinguare le casse o aumentare la capacità di spesa, ci si vede talvolta costretti, ad “imbastire” manovre che, in termini tremontiani, potremmo definire di ”finanza creativa”.
Proprio come avvenne, cento anni fa , a Jesi, quando la situazione di bilancio del Comune giunse all’orlo del dissesto. Agli inizi degli anni ’20 del secolo scorso, la città era attraversata dai venti di una forte crisi sociale.

Scrive Giuseppe Luconi (“Jesi attraverso i secoli”): “Finita la prima guerra mondiale, l’Italia attraversò uno dei periodi più difficili dopo l’unità nazionale. La percentuale di disoccupati era altissima, l’inflazione notevole, la miseria toccava larghi strati della popolazione. Agitazioni e scioperi si succedevano con sempre maggiore frequenza”.

Per fronteggiare la grave situazione in atto, l’Amministrazione Comunale - retta nel 1921 da un monocolore repubblicano – valutò addirittura la possibilità di ipotecare i suoi gioielli  più preziosi, ovvero i capolavori di Lorenzo Lotto.

Una scelta drammatica e fonte di polemiche, tenendo anche conto della provenienza di tali opere.
Dopo la battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) e il Plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia (4 e 5 novembre 1860), anche per Jesi aveva avuto inizio il doloroso periodo delle soppressioni.

Il Regio Commissario delle Marche Lorenzo Valerio, di stanza a Senigallia, si era distinto per una politica di contrasto verso il mondo ecclesiastico, disponendo l’incameramento del patrimonio delle corporazioni religiose.
Nella Diocesi di Jesi, i beni della Mensa Vescovile, del Capitolo, delle Confraternite e delle Collegiate vennero espropriati, per essere assegnati ai Comuni del territorio oppure venduti.
Analoga sorte toccò alle comunità religiose e, prima tra tutte, a quella francescana.
I Frati Conventuali vennero espulsi da San Floriano: la chiesa venne sconsacrata e nel 1869 diventò sede della biblioteca comunale. I locali dell’ex convento furono, invece, adibiti ad istituti scolastici.

I Padri Minori Riformati vennero cacciati dal convento di San Francesco al Monte: la loro chiesa fu demolita e l’annesso convento fece posto alla Casa di Riposo, ancora in funzione nell’attuale via Gramsci.

Le opere d’arte presenti a San Floriano e a San Francesco al Monte, entrarono forzatamente nel patrimonio del Comune di Jesi. Tra queste, 6 straordinari dipinti di Lorenzo Lotto: la Deposizione, l’Angelo Annunciante, la Vergine Annunciata, la Pala di Santa Lucia (provenienti da San Floriano), la Madonna delle Rose e la Visitazione (provenienti da San Francesco al Monte).



Sessanta anni dopo, nel 1921, due di queste opere (non sappiamo quali) rischiarono di diventare oggetto di garanzia per un prestito. La temeraria iniziativa venne bloccata grazie al provvidenziale intervento dell’autorità governativa.

Il 30 settembre 1921 il Sovrintendente alle Gallerie e agli oggetti d’arte delle Marche formulò al Sindaco di Jesi una lettera dai toni perentori: “Poiché è giunta notizia che l’Amministrazione Comunale dalla S.V. presieduta intende per ottenere un prestito far gravare d’ipoteca due dipinti di L. Lotto, si diffida la S.V. dal compiere qualsiasi atto che possa comunque compromettere i dipinti del Lotto esistenti nella Pinacoteca Civica”.

La vicenda – la cui traccia documentale è pubblicata nel libro “Chiesa di San Francesco al Monte, un tesoro d’arte da scoprire” di Maria Cristina Zanotti – è l’emblema di una stridente antinomia tra la volontà encomiabile di rispondere ai bisogni impellenti della cittadinanza e la tentazione sciagurata di dilapidare i beni artistici di una comunità.

Per fortuna, cento anni dopo, le opere di Lorenzo Lotto sono ancora al loro posto nella Pinacoteca. La loro presenza è motivo di orgoglio civico e di attrazione turistica.

Non solo. Oggi è finalmente chiaro a tutti che una seria politica di  valorizzazione del patrimonio artistico può rappresentare il volano dell’economia locale e dello sviluppo del territorio.
Detta in altri termini: Lorenzo Lotto può aiutare la quadratura del Bilancio!


                                                                                                    Mauro Torelli

fonte: Vice della Vallesina, 15 dicembre 2019





domenica 15 dicembre 2019

"Il sogno di Francesco non è utopia"

Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di consegna della Lampada della Pace



Ringrazio molto il Sacro Convento per la Lampada della Pace: ne interpreto la consegna e il significato come un riconoscimento all'Italia. La Repubblica, nel rispetto e in coerenza con la sua Costituzione, ha sempre, costantemente e attivamente, ricercato la pace. Lo ho fatto e lo fa con i Paesi vicini. I confini territoriali del nostro Paese, anche dove decenni e decenni addietro si vedevano scontri ed episodi di crudeltà, sono oggi punti d'incontro, luoghi di pace, di amicizia e di collaborazione attiva per il comune futuro.
La scelta storica dell'integrazione europea che ha consentito al nostro continente, per secoli attraversato da guerre sovente feroci, di porre insieme il futuro dei suoi popoli, è stata ed è una grande costruzione di pace.
L’Italia sviluppa la pace e la persegue non soltanto nei suoi rapporti con gli altri paesi, vicini e lontani, ma collabora attivamente per promuoverla dove non c'è, in ogni parte del mondo, anche in paesi lontani, e per consolidarla dove esiste. Lo fa con la sua azione politica, con la sua attività diplomatica, con le missioni dei suoi militari, in luoghi molto lontani, come Timor Est, in luoghi meno distanti come il Libano.
Da anni l’Italia svolge un’attiva e impegnata politica per la pace nel mondo. E ve ne è grande bisogno.
In un periodo in cui si assiste a numerosi e gravi conflitti e focolai di guerre regionali, a contrasti e scontri crudeli a carattere etnico, o per motivi pseudoreligiosi, in un periodo in cui rischiano di venir meno limiti agli armamenti nucleari e in cui si vedono sviluppare armamenti in tante parti del mondo vi è bisogno di un grande impegno per la pace, di una grande educazione alla pace.
Credo di poter dire, qui nella casa di San Francesco, che questa educazione ha un punto di partenza che si può esprimere con un semplice termine: insieme. Conoscersi, rispettarsi, apprezzarsi, operare insieme per il comune progresso.
Quest’anno ricorrono ottocento anni dal viaggio di Francesco presso il Sultano d’Egitto. Quello non fu il gesto visionario di un sognatore, ma è stato un gesto profetico di chi ha compreso che quello è l’approdo per costruire la pace, tanto più quest’oggi.


Sono passati tanti secoli perché si comprendesse finalmente che quella del dialogo, dell’incontrarsi, del conoscersi e del parlarsi è la strada per la pace. Tanto più oggi, in un mondo così interdipendente - sempre più interdipendente - in cui sono venute meno sostanzialmente le distanze tra le sue parti e i suoi continenti.
Quello di costruire il futuro è il vero tessuto della pace.
Vorrei rammentare che la nostra Costituzione non si limita al fondamentale richiamo alla pace in sede internazionale tra le Nazioni e tra gli Stati, con il suo articolo 11. Ma già dall’articolo 2, in tutto il tessuto del suo percorso, la Costituzione richiama, esorta, sollecita alla pace interna il nostro Paese.
E gli italiani non possono che essere particolarmente sensibili e attenti a questo tema, a questo altro fronte della pace, non potendo dimenticare la stagione drammatica e triste del terrorismo e ben conoscendo le conseguenze nefaste di lacerazioni profonde.
È una scelta di grande sagacia quella della nostra Costituzione che disegna, in tutta la sua architettura, un modello di Paese che si senta comunità di vita.
Quindi, Padre custode, il saluto di Francesco che lei poc’anzi ha rammentato “il Signore ti dia pace” non è soltanto un’invocazione, è anche un impegno per ciascuna persona nel proprio ambiente, per ciascuno Stato nella comunità internazionale. Perché, come lei ha poc’anzi ricordato al termine del suo intervento, il sogno di Francesco e di questa comunità del Sacro Convento della fraternità universale non è utopia, è un approdo per il quale operare, verso cui tendere, conoscendo le difficoltà che si frappongono - che sono grandi - ma con la consapevolezza che quello è l’approdo per la pace e per lo sviluppo del mondo.
Non è utopia, è un approdo da costruire con convinzione, con determinazione e con grande consapevolezza.
E lo spirito che qui si respira è che per l’Italia la pace è un punto di riferimento.

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica

Assisi, 14 dicembre 2019

venerdì 13 dicembre 2019

Nel giorno della festa di Santa Lucia

Lorenzo Lotto, Pala di Santa Lucia, 1532
Opera oggi esposta alla Pinacoteca Civica di Jesi,
proveniente dalla chiesa francescana di San Floriano



Le predelle

giovedì 12 dicembre 2019

Noli me tangere

Pietro Paolo Aquilini, Noli me tangere (XVII sec.), Pinacoteca Civica di Jesi


Dal 12 dicembre è esposto in Pinacoteca il “Noli me tangere” di Pietro Paolo Aquilini (XVII secolo). L’opera si trovava, in pessime condizioni, nei depositi comunali. Il restauro è stato possibile grazie all’intervento di un mecenate.

Nel dipinto sono riconoscibili San Giacomo della Marca, la Maddalena, Cristo giardiniere, San Giacomo Maggiore e San Gaetano da Thiene. Non è stato, invece, individuato il nome del Papa.

In alto il cristogramma sorretto da due angeli. Si ipotizza che l’opera sia stata commissionata dalla Confraternita del Buon Gesù, istituita da San Giacomo della Marca in occasione della predicazione a Jesi nel 1426.


"Nel 1425 San Giacomo predicò in città e propose alcune riforme agli statuti comunali. L’anno seguente, il 5 maggio 1426 una delibera del Consiglio Comunale proponeva di riformare gli statuti secondo le direttive date da San Giacomo quando venne a predicare. Oltre a partecipare alla riforma degli statuti cittadini, istituì anche una confraternita di cui dettò le costituzioni, chiamata del Buon Gesù. La sede iniziale fu a S. Floriano e poi nella chiesa di San Giacomo Apostolo.

Nel 1452 fu di nuovo a Jesi e partecipò anche alla seduta del Consiglio del 22 maggio.


Fu chiamato per l’ultima volta nel 1471 perchè facesse da paciere tra Jesi ed Ancona".

fonte: http://www.sangiacomodellamarca.net/

Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.