martedì 25 dicembre 2018

Il Natale nella versione di Pietro Paolo Agabiti


Pietro Paolo Agabiti, terracotta policroma invetriata, prima metà sec. XVI, 
Pinacoteca Civica di Jesi

Nacque a Sassoferrato (Ancona) verso il 1470 dal maestro Agabito Agabiti. Pittore, non si ha notizia di un suo giovanile soggiorno nel Veneto che varrebbe a meglio spiegare il profondo legame con l'arte veneta, e particolarmente con quella di Cima da Conegliano, che si nota nella piccola pala Madonna in trono fra i SS. Pietro e Sebastiano del Museo di Padova, opera firmata e datata (Petri Pauli Saxiferrati opus MCCCCLXXXXVII)Tale dipinto, forse il più importante tra i non molti che dell'A. siano giunti sino a noi, chiarisce la sua educazione, indicando i limiti delle sue possibilità, che sono quelle di un modesto imitatore di Cima. Secondo la tradizione, allontanandosi in età giovanile da Sassoferrato, l'A. si sarebbe stabilito a Jesi; qui rimase quasi sempre fino al 1510, e vi prese moglie. Datati e firmati 1511 sono un trittico (Madonna e Santi)già nella chiesa di S. Maria di Catobagli, ora nella Pinacoteca di Sassoferrato, e una Natività in S. Maria del Piano del Ponte a Sassoferrato; nella stessa chiesa vi è pure, datata e firmata 1518, una pala d'altare (Madonna, S. Caterina e il Battista)Del 1522 era un quadro già nella chiesa di S. Francesco a Corinaldo, descritto da A. Ricci (1834), oggi perduto. Dal 1522 al 1524 l'A. eseguiva a Iesi, tra l'altro, alcuni affreschi nel Palazzo di Città, in collaborazione con Andrea da Iesi. Nel 1524 firmava e datava un grande trittico nella chiesa di S. Croce a Sassoferrato, con i SS. Benedetto, Mauro, Placido, Pietro, Damiano e Scolastica, ed avente una predella considerata tra le sue opere migliori. Firmata e datata 1528 è una Madonna col Bambino tra il Battista e S. Antonio di Padova, conservato ora nella Pinacoteca di Jesi. Dal 1531 in poi l'A. si ritirò nel convento dell'Eremita di Cupramontana, e quivi egli morì verso il 1540.
Le opere citate, dopo l'iniziale e così intensa adesione allo stile di Cima, rivelano un successivo impoverimento delle qualità dell'artista, sempre più smarrito tra gli influssi di L. Signorelli e quelli di L. Lotto, pittori che certamente dovette conoscere, essendo essi attivi proprio nella zona tra Arcevia e Jesi, negli anni stessi in cui egli vi lavorava. Le sue migliori qualità ci appaiono nei dipinti di piccole dimensioni, specialmente nelle predelle, dove sono vivaci piccole figure ed ampi e sereni paesaggi, di una tersa luminosità.
Un affresco (Madonna col Bambino e Santi)datato 1503, esistente nella chiesa di S. Esuperanzio a Cingoli, è stato attribuito all'A, da A. Colasanti e da B. Berenson, mentre L. Venturi, forse più giustamente, pensa per esso ad Antonio Solario.
L'A., oltre che pittore, pare fosse anche plasticatore; ma le ceramiche che gli furono attribuite sono con ogni probabilità opere della bottega robbiana; non v'è comunque possibilità di formulare sull'argomento un qualsiasi giudizio.
Bibl.: F. Menicucci, Diz. dei Cupresi-Montani, in G. Colucci, Delle Antichità Picene, IX, Fermo 1790, pp. CLXX-CLXXI; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, Milano 1824, p. 39; A. Ricci. Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II, Macerata 1834, pp. 19, 38, 136-138, 158; A. Anselmi, Di un quadro in maiolica nell'Eremo di Monterubbio presso Pergola, in Arte e Storia, III (1884), pp. 404-405; Id., Dell'altare invariato di P. P. A. in Iesi..., ibid., V (1886), pp. 5,50; Id., Un fresco quattrocentesco di scuola umbra, in Nuova Riv. Misena, IX (1896), p. 104; H. Mireur, Dict. des ventes d'art..., I, Paris-Marseille 1901, p. 7; A. Anselmi, Miscell. storico-artistica di Sassoferrato e dintorni, Firenze 1905, pp. 15-20 (con prospetto cronologico); L. Venturi, Le origini della pittura veneziana, Venezia 1907, p. 264; Id., A traverso le Marche, in L'Arte, XVIII (1915), p. 206; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, Milano 1915, p. 678; A. Colasanti, Opere di P. P. A. finora non identificate, in Bollett. d'arte, XIII (1919), p. 91; L. Serra, L'arte nelle Marche, II, Roma 1934, pp. 175-177, 181-182, 413-415, 435; B. Berenson, Pitture ital. del Rinascimento, Milano 1936, p. 1; Inventario degli oggetti d'arte d'Italia, VIII, Provincie di Ancona e Ascoli Piceno, Roma 1936, pp. 70, 107, 110, 111, 114, 115, 119, 157, 163, 164, 167, 169, 179; R. van Marle, The development of the Italian Schools of painting, XVII, The Hague 1938, p. 481; A. Moschetti, Il Museo civico di Padova, Padova 1938, p. 207; L. Grossato, Il Museo civico di Padova, Venezia 1957, p. 17; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, pp. 109-110; Encicl. Ital., I, p. 829; U. Galetti-E. Camesasca, Encicl. della pitt. ital., I, pp. 9-10.

fonte: www.treccani.it

mercoledì 12 dicembre 2018

La Santa Lucia di Lorenzo Lotto




Nel cammino verso il Natale, raggiungiamo la Festa di Santa Lucia.

Lorenzo Lotto le dedicò, nel 1532, il suo capolavoro originariamente collocato nella Chiesa francescana di San Floriano e oggi conservato nella Pinacoteca civica di Jesi


sabato 8 dicembre 2018

Nella festa della Madonna del Tettarello


Autore ignoto, Traslazione della Santa Casa di Loreto e Santi, metà sec. XVII, olio su tela, conservato al Museo Diocesano di Jesi

venerdì 16 novembre 2018

Il San Bernardino di Castelferretti

San Bernardino da Siena



«La chiesa di S. Maria della Misericordia è posta fuori di Castelferretti, quattrocento passi circa lontano dall’abitato. Fu edificata dalli Signori Condomini di Castelferretti agli inizi del quattrocento»
Nel 1610 poi, come si può leggere nell’iscrizione della facciata, fu allungata e sopraelevata, intonacando i pregevoli affreschi delle pareti, che, malgrado l’incuria e l’usura del tempo, sono stati riscoperti dopo più di tre secoli. Dai documenti risulta che questa Chiesa nel corso del XVII secolo, forse durante i lavori eseguiti in quella entro il castello, ebbe funzione di parrocchia. Nella relazione della sacra visita, fatta dal cardinale Gian Ottavio Buffalini nel 1768, si dice erroneamente che la Chiesa della Misericordia era stata eretta nel 1584 e che non era stata mai dipinta. Invece dalle caratteristiche degli affreschi e dalle circostanze storiche appare evidente che la Chiesa sia stata costruita almeno agli inizi del quattrocento, quando, a seguito di una epidemia, si cominciò a diffondere la devozione verso la Madonna della Misericordia. 
Comunque l’affresco dell’altare maggiore fu certamente eseguito nella seconda metà del XV secolo, come lascia supporre il monogramma di San Bernardino da Siena. Per quanto riguarda gli autori, alcune immagini richiamano la maniera di Luca Costantino, di cui esiste una sacra conversazione (la Vergine col Bambino, S. Ciriaco e S. Primiero ai lati) datata: 1520, nella Cattedrale di Ancona. Il titolare della suddetta Chiesa è Maria della Misericordia la cui festa si festeggia il 23 ottobre. «In detta Chiesa, però, bisogna dire che vi è indulgenza plenaria ad septemnium», il 2 aprile giorno di S. Francesco di Paola, il 23 ottobre giorno del titolare della Chiesa, il 2 novembre giorno della commemorazione dei defunti; e negli altri 7 giorni vi è indulgenza parziale. Nella Chiesa, infine, vi sono erette la via crucis con licenza di Roma concessa il 2 dicembre 1815, e confermata il 20 febbraio 1816 dalla cancelleria vescovile eretta il 2 agosto 1816 dal P. Raffaele Giuliani di Umana, Guardiano dell’Ordine minori di Ancona. «La chiesa è a tetto in quadro di cui lunghezza sono piedi 34; grande piedi 16; alta nelle parti laterali 15 1/5».
fonte: www.iluoghidelsilenzio.it

giovedì 4 ottobre 2018

domenica 30 settembre 2018

sabato 11 agosto 2018

Betto Tesei: omaggio a San Francesco d'Assisi


La ritrosia è, da sempre, la cifra che caratterizza i marchigiani, in qualunque settore si trovino ad operare.
Non vi è eccezione per il campo delle arti e della cultura.
Se si escludono poche figure assurte alla gloria internazionale,  molto spesso è prevalsa, nei nostri conterranei, una tendenza -  talvolta addirittura compiaciuta -  al silenzio, al nascondimento e all’autoemarginazione.
Questo sigillo ha segnato anche il pittore jesino Betto Tesei (1898 – 1953), del quale, esattamente a 120 anni dalla nascita,  una importante mostra riporta alla luce l’esperienza pittorica ed umana (Palazzo Pianetti, dal 20 giugno al 30 settembre).
E’ merito dei curatori (Roberto Cresti dell’Università di Macerata e Simona Cardinali della Pinacoteca Civica di Jesi) aver sottratto all’oblio un protagonista della vicenda artistica  regionale e nazionale, purtroppo dimenticato dai suoi stessi concittadini.
Probabilmente Tesei ebbe il “torto” di non aderire alle correnti stilistiche d’avanguardia degli anni ‘20, privilegiando, invece, un percorso artistico nostalgico, nel solco dei macchiaioli e della straordinaria esperienza pittorica del Seicento.
Proprio per quell’epoca aurea era riemerso un rinnovato interesse, a motivo di una grande mostra nazionale svoltasi a Palazzo Pitti nel 1922, destinata ad influenzare il pensiero artistico contemporaneo.
Betto aveva compiuto i suoi primi studi all’Accademia di Belle Arti di Urbino sotto la guida di Luigi Scorrano, esponente dell’ultimo naturalismo napoletano.
Appena ventenne, si era, poi, trasferito nella capitale, dove aveva  assimilato i principi stilistici del “Secentismo plastico”, ovverosia quella lezione chiaroscurale di matrice caravaggesca, di cui aveva sicuramente avuto esperienza contemplando le Storie di San Matteo in San Luigi dei Francesi.
Nel percorso espositivo di Palazzo Pianetti, il visitatore potrà prendere coscienza dei generi artistici “frequentati” da Betto: la ritrattistica (in particolare il nudo), le nature morte e i paesaggi.
Non a caso il critico Remigio Strinati aveva definito Betto con i titoli di ”paesista e pittor di figura”, che “vede nella natura il bel colore che canta, la chiara luce che sprizza nelle cose”.
Rarissimi i soggetti religiosi, ma tra questi spicca un sorprendente “San Francesco” (1926), presentato a Roma  in occasione della Esposizione Giovane Arte Picena.

Voce della Vallesina, 15 luglio 2018

Il quadro, ispirato al racconto del biografo Bonaventura, ritrae il Santo di Assisi con lo sguardo estatico rivolto al cielo, le braccia incrociate sul petto e le mani piagate dalle stigmate, appena ricevute sul monte della Verna.
La costruzione, il rilievo prendono il sopravvento nella figura di San Francesco, tanto da rasentare il realismo, la secchezza. Ma anche in questa discussa pittura, chi come il Tesei, sa disegnar  quelle mani in croce, chi sa investirle di così ricche luminosità, che pare sgorghino da una fonte sovrumana, non è uno (…) che rada il suolo, destinato a perdersi nella folla” (Strinati).
Per l’uso della luce, forte è il richiamo al San Francesco in estasi di Caravaggio, ma resta ancora non chiarito il movente che condusse Tesei alla scelta del soggetto religioso, effettivamente non consono alle sue abitudini.
Possiamo, tuttavia, supporre che l’opzione sia stata sostenuta ed incentivata dalla straordinaria temperie francescana nella quale l’Italia si trovò immersa negli anni venti dello scorso secolo.
Proprio nel 1926, cadde il settimo centenario della morte del Santo di Assisi. 
Per l’occasione, sia la Chiesa, guidata da Pio XI, che il Governo, presieduto da Benito Mussolini, entrarono in competizione per celebrare il Santo, in una situazione politico-diplomatica in cui erano ancora lontani i tempi dei Patti Lateranensi (1929).
Nell’aprile del 1926, Papa Ratti scrisse l’enciclica Rite Expiatis con l’obiettivo di ridestare nel popolo cattolico lo spirito di Francesco,  richiamandone alla memoria gli insegnamenti e gli esempi di vita (“Nostro desiderio è che le feste religiose e civili, le conferenze e i discorsi sacri che si terranno in questo centenario mirino a che si celebri con manifestazioni di vera pietà il Serafico Patriarca”).
L’enciclica ebbe notevole risonanza, anche per una certa vena polemica nei confronti di quei tentativi (soprattutto di matrice fascista) di strumentalizzare la figura del Santo per obiettivi impropri, quali l’esaltazione dell’italianità (il più Santo fra gli Italiani, il più italiano fra i Santi).
Il Papa mise in guardia i fedeli invitandoli a “rifuggire da quell’immaginaria figura che del Santo volentieri si formano i fautori degli errori moderni o i seguaci del lusso e delle delicatezze mondane (…) Tali paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane, non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio, autore della santità”.
In questo contesto ricco di suggestioni spirituali (ma anche di sollecitazioni esterne di ispirazione laicista), fu concepito il San Francesco di Betto Tesei, il quale dimostrò, pur da giovane, di non essere pittore superficiale, ma artista riflessivo e consapevole.
In altri termini, un uomo non “destinato a perdersi nella folla”, al quale dovranno auspicabilmente essere dedicate ulteriori iniziative di studio e ricerca.
Condividiamo l’idea del Prof. Cresti secondo cui il “caso Tesei” si è appena aperto; altri daranno il loro contributo a ulteriori chiarimenti e ipotesi di carattere sia locale che nazionale.


                                                                                                               Mauro Torelli

fonte: Voce della Vallesina, luglio 2018

Padre Farinelli: un marchigiano a Roma

Voce della Vallesina, 17 giugno 2018

Pazzo da slegare


Promotore dell'Apostolato Vocazionale delle Mamme


Consorzio Agrario: una storia dagli esordi francescani


Il tempo sospeso


lunedì 21 maggio 2018

Urbino: il riposo eterno del conte francescano





Era più di un mese che nella chiesa di San Donato vicina al Mausoleo di San Bernardino, vi erano dei lavori in corso con tanto di transennamento. Ma tutto ciò non aveva incuriosito gli urbinati, rimasti ignari per lungo tempo, di una storia talmente importante, che potrà rivoluzionare non solo la corte urbinate rinascimentale, ma anche le ricostruzioni storiografiche su due personaggi altrettanto importanti per la civiltà urbinate: il Conte Guidantonio e Oddantonio, quest’ultimo personaggio della famosa Flagellazione di Piero della Francesca, presente nel palazzo Ducale di Urbino. 

Infatti sono state ritrovate le due tombe, la prima del padre del Duca Federico da Montefeltro, la seconda di Oddantonio, il ramo colto e raffinato dei Montefeltro. Ma ricostruiamo con ordine queste scoperte eccezionali, che nessun libro di storia e archeologia rinascimentale riportano. 

Il 7 aprile 2000 ha avuto luogo l’esplorazione del sepolcro di Federico II da Montefeltro, del figlio Guidobaldo, della nuora Elisabetta Gonzaga e del figlio Federico nella chiesa di San Bernardino presso l’omonimo colle. Il 2016 sarà ricordato dagli storici e archeologi, come l’anno in cui si sono ritrovate le tombe del padre del Duca Federico e Oddantonio. La chiesa di San Bernardino e l’attiguo convento francescano sorgono sul colle S.Donato. Ed è nella chiesetta di San Donato, ancora esistente, che la Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, che si sono recentemente trovate le due tombe. 

La chiesa di S.Donato aveva già nel XII secolo il titolo di Pieve e dopo l’avvento nel 1425 dei Padri Minori Osservanti, aveva dovuto dividere con essi la propria sede. La sepoltura del conte Guidantonio costituisce l’antecedente per il luogo in cui sarebbe sorto il mausoleo, vale a dire la più famosa chiesa del complesso di San Bernardino, che fu eretta per volontà testamentaria dello stesso Federico e ultimata nel 1491. Fino al quel momento accanto alla chiesa di San Bernardino veniva citata anche la chiesa di S.Donato.

Dal 1496, i documenti citano solo la chiesa di san Bernardino. Per il professor Antonio Fornaciari che conduce i lavori di restauro e recupero della chiesa di San Donato, la struttura antenata al Mausoleo di San Bernardino era architettonicamente più complessa e che gli studi e i rinvenimenti delle due tombe e dell’affresco quattrocentesco all’interno della chiesa di San Donato, avvalorino le ipotesi già fatte dagli storici e in particolare dall’erudita mons.Ligi, che i corpi di Guidantonio e Oddantonio si trovassero a Urbino e non in altri siti religiosi come la cattedrale di Cagli. 

Dunque il mistero della Flagellazione di Piero della Francesca, sta avendo un risvolto iconografico che potrebbe aiutare a svelare l’enigma prospettico e figurativo della celebre tavola urbinate.

Il mausoleo di San Bernardino fu realizzato da Francesco di Giorgio Martini con una struttura architettonica a tre absidi e quattro colonne agli angoli della crociera. Una struttura dunque che si rifà alle tipologie delle tombe romane monumentali. Ma allora perché a tanta magnificenza si è voluto contrapporre una struttura semplice con due tombe, la prima del conte Guidantonio con tanto di scritte e aspetti figurativi ben visibili e la seconda di Oddantonio,ormai consunta dal tempo? 

E’ difficile rispondere a questo interrogativo e ci può venire in aiuto ancora il canonico Bramante Ligi che nel suo studio dal titolo UOMINI ILLUSTRI E BENEMERITI DI URBINO, già si leggeva che presso “l’antica chiesa di S.Donato contiene la tomba del Conte Guidantonio Feltrio, morto il 21 febbraio 1443. Sulla pietra tombale è riprodotto, in bassorilievo, vestito dell’abito francescano, con la spada e l’insegna cavalleresca. Sotto la figura del Conte si legge un’iscrizione latina in semigotico che ricorda con lode il principe. La Contessa, moglie del Duca, Caterina Colonna, nepote di Martino V, dorme con lui il sonno eterno’’.

Un intreccio amoroso, un figlio addirittura bastardo, il grande duce, Duca di Montefeltro, conteso per calunnia anche dalla famiglia degli Ubaldini. Ecco perché non solo i Montefeltro e i Malatesta, ma anche gli Ubaldini provenienti dal Mugello dal VII al 1373, si contesero una parte di patrimonio, quello culturale del fratello del Duca Federico, quell’Ottaviano Ubaldini della Carda, che passò anche attraverso la rocca di Sassocorvaro.

Ma in questo mese di lavoro, di rifacitura del pavimento della chiesa di S.Donato, che cosa è venuto fuori oltre alle due tombe? “Vi è un affresco ben visibile, databile inizio del 1400, ha sottolineato Antonio Fornaciari, che già ci fa entrare nel culto umbro-tosco-marchgiano, con la raffigurazione di una crocifissione situata in un colle,alberi e un san Francesco pregante, che pensiamo anche con il riscontro di studiosi d’arte della nostra equipe, possano essere addirittura pre giottesca, con quell’influsso che Masolino lasciò sul genio del Trecento e una nicchia, in una struttura architettonica armoniosa, più rovinata dal tempo, con una corpo di donna ancora ben delineato con le sue vesti azzurre intense e rossa e figure delineate nei contorni. 

Insomma la cultura urbinate rimane un enigma come la Flagellazione di Piero. Un accenno nella nicchia dell’esperienza prospettica che già Piero, ancor prima Masaccio e Leon Battista Alberti, stavano sperimentando per comprendere il movimento, l’architettura , il paesaggio l’uso magistrale della luce.’’

Paolo Montanari, 23 maggio 2016,  http://www.smtvsanmarino.sm

mercoledì 28 marzo 2018

Educatore, artista e missionario. In memoria di Padre Antonio Simoncini


CUPRA MONTANA, 14 marzo 2018 –  – E’ deceduto ieri (13 Marzo) all’età di 90 anni Padre Antonio Simoncini, frate Minore e Sacerdote presso il Convento di San Giacomo de La Romita, comunemente chiamato Eremo dei Frati Neri.
La notizia ha fatto il giro del paese ed è stato unanime il cordoglio per la scomparsa di questo frate nativo di Cupra Montana.
Un semplice manifesto funebre annuncia la notizia e brevemente ci ricorda: ”Educatore dei giovani, artista geniale Missionario in Argentina, guida e pastore in varie parrocchie, al servizio dei malati negli ospedali, Direttore della Guardia d’Onore del Cuore Immacolato di Maria in San Marino, padre spirituale di tante anime, dal cuore immensamente buono, amorevole e sensibile, accogliente verso tutti, pieno di misericordia e di carità”.
Parole che descrivono Padre Antonio Simoncini senza alcuna immaginazione ma con l’oggettività della sua opera per il prossimo, per tutti coloro che gli si sono avvicinati per una parola di conforto o per ricevere una particolare benedizione.
I Cuprensi hanno sempre intrattenuto stretti rapporti di rispetto e benevolenza con i Frati Neri e ricordando Don Nazareno Falasconi, possiamo affermare che da lui in poi la Chiesa della Romita è tornata a vivere di luce propria per la tanta la partecipazione dei fedeli.
fonte: qdmnotizie.it



sabato 3 febbraio 2018

Cenni biografici su Crescenzio da Jesi

Voce della Vallesina, 28 gennaio 2018

Veramente encomiabile l’attività di studio di Laura Barbacci, Meri Sbaffi e Maria Cristina Zanotti confluita nel libro “La chiesa di San Marco, un gioiello nascosto”, presentato domenica 1 ottobre.

Di particolare interesse la scoperta di tracce templari che si innestano nel contesto francescano della chiesa, la cui prima origine è riconducibile – secondo la tradizione – al passaggio del Santo di Assisi nella nostra città attorno al 1215.

Per di più, l’opera delle tre autrici -  come si conviene ai migliori lavori in campo storiografico - ha il pregio di stimolare l’apertura di ulteriori “piste” di ricerca.

Sarebbe interessante, ad esempio, approfondire la notizia (riportata dalla Sbaffi) secondo cui la chiesa di San Marco costituirebbe il luogo di sepoltura dello jesino Crescenzio Grizi, sesto Ministro Generale dell’Ordine francescano e, successivamente, Vescovo della nostra diocesi, morto nel 1268.

La figura di questo frate, purtroppo misconosciuta nella sua terra di origine, è strettamente legata alle concitate vicende che seguirono la morte del Santo, avvenuta nel 1226.

E’ universalmente noto che la povertà costituisce il tratto qualificante dell’esperienza umana di Francesco (non a caso chiamato Pater pauperum) e trova conferma nel suo Testamento e nella Regola: “I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo”.

Come era umanamente prevedibile, il carattere radicale della volontà testamentaria di Francesco finì per creare, nei suoi eredi, divisioni e contrasti.
Mentre parte dell’Ordine propugnava il primato assoluto della “santa povertà”, altri esponenti (sostenuti dalla Curia Romana) vollero coltivare un obiettivo di proselitismo e di penetrazione francescana nella società dell’epoca:  tale strategia poteva essere perseguita  attraverso l’edificazione di nuovi conventi e lo sviluppo territoriale di una solida struttura organizzativa.

Molto presto i fautori della spinta apostolica entrarono in conflitto con i sostenitori del carisma contemplativo delle origini: con la bolla Quo elongati del 1230, Gregorio IX giunse a dichiarare che i frati non erano obbligati alla stretta osservanza del Testamento.

La presa di posizione del Papa fece divampare lo scontro tra la componente degli zelanti (strenui “custodi” del Testamento) e quella dei lassisti.

La situazione di crisi fu affrontata dallo jesino Crescenzio Grizi, Ministro Generale dell’Ordine tra il 1244 e il 1247, il quale si contrappose apertamente agli zelanti, in sintonia con l’autorità papale.

Appartenente a una delle più nobili famiglie della città, in gioventù aveva avuto, secondo alcune fonti, moglie e prole. Alla morte della coniuge, aveva deciso di entrare, insieme ad un figlio, nell’Ordine francescano.

Le Fonti così descrivono l’operato del Grizi: “Entrato nell’Ordine già vecchio, esperto in diritto canonico e in medicina. Non molto tempo dopo fu fatto Provinciale della Marca anconetana. Vi trovò una setta di uomini superstiziosi, che non camminavano secondo le verità del Vangelo (…) ritenendosi più spirituali degli altri e volendo vivere secondo il proprio arbitrio, attribuendo tutto questo alla mozione dello Spirito. Frate Crescenzio, mentre era ministro provinciale li sterminò con mano forte”(Fonti Francescane  2671)

Controverso fu il giudizio dei contemporanei sull’opera di Crescenzio: un giudizio sicuramente condizionato dalle contrapposte appartenenze dei suoi critici. La fazione avversaria degli zelanti gettò discredito su di lui considerando la sua azione “inutile” ed “insufficiente” (FF 2671). Per altri, al contrario, “il suo zelo era infiammato dalla carità, modellato dalla scienza e fortificato dalla fermezza”.

Ma, probabilmente, il merito maggiore ascrivibile a  Crescenzio Grizi è legato alla sua decisione di interpellare tutti i frati che avevano conosciuto Francesco per poter raccogliere ricordi personali, documenti, appunti, lettere private riferiti al Fondatore. Erano, ormai, trascorsi 18 anni dalla morte del  Santo e il gruppo dei primi seguaci cominciava, per ragioni anagrafiche, ad assottigliarsi, con il rischio di perdere per sempre informazioni preziose.

Attraverso il racconto diretto dei frati della “prima ora” Leone, Rufino e Angelo, fu possibile ricostruire la vicenda biografica di Francesco in quel testo straordinario giunto ai posteri sotto il titolo di Leggenda dei tre compagni.

E fu sempre il Grizi a commissionare all’agiografo ufficiale Tommaso da Celano, già autore della Vita Prima di San Francesco, una seconda biografia integrata con le notizie reperite tra i contemporanei del Santo.

Nel 1252 Crescenzio fu eletto Vescovo di Jesi e guidò la diocesi fino al 1264:“Dopo che ebbe governato l’Ordine per qualche tempo con fedeltà e prudenza, frate Crescenzo chiese di essere dimesso dall’Ufficio; in seguito fu nominato Vescovo della sua città natale” (FF 2513).

L’incarico di Crescenzio si svolse in un periodo alquanto tormentato della storia di Jesi: all’indomani della morte di Federico II (1250), suo figlio Manfredi portò a compimento la riconquista ghibellina della Marca di Ancona.

La nostra città fu privata del Vescovo e Crescenzio dovette abbandonare Jesi.

Appare, comunque, attendibile che la sua sepoltura – a motivo dell’alta dignità ecclesiastica conseguita nella doppia carica di Ministro Generale e Vescovo - sia avvenuta all’interno della chiesa di San Marco, considerata, per secoli, la chiesa madre dei francescani della Vallesina.

Esprimiamo l’auspicio che la ricerca storica su Crescenzio Grizi possa proseguire, affinché venga riconosciuta a questo francescano di origini nobiliari la giusta collocazione tra i figli più illustri della città di Jesi e della Vallesina.



                                                                                                                                          Mauro Torelli



venerdì 5 gennaio 2018

Da Assisi ad Ancona

Corriere Adriatico, 5 gennaio 2018

La ricostruzione del percorso Assisi-Ancona (190 km), nella ricostruzione di Padre Giancarlo Corsini:
- Assisi
- Gualdo Tadino
- Monte Serra Santa
- Campodonico
- Madonna del Sasso
- Valleremita
- Fabriano
- Albacina
- Poggio San Romualdo
- Valdicastro
- Favete
- Cupramontana
- San Paolo di Jesi
- San Paolino
- Filottrano 
- Osimo
- Ancona


San Francesco al Monte: scrigno di tesori

Voce della Vallesina, 10 dicembre 2017