sabato 10 dicembre 2016

Padre Rinaldi: tra gli artefici della Piccola Milano



Molto spesso cronaca e storia, presente e passato si  intrecciano con esiti imprevedibili;
Fatti e situazioni risalenti ad epoche antiche riemergono dal dimenticatoio e quasi reclamano una rinnovata attualità.

Il Consiglio Comunale di Jesi, riunitosi nella seduta del 21 novembre, ha approvato, a voti unanimi, la proposta di piano di dimensionamento scolastico per le Scuole superiori.

All’apparenza un adempimento di ordinaria amministrazione, in realtà il frutto di un complesso percorso partecipativo finalizzato a definire un equilibrio ottimale tra domanda di istruzione e offerta formativa, all’interno dell’ ambito territoriale.

In ogni Provincia, i Comuni sono chiamati a raccolta per esprimersi in merito alla programmazione della rete scolastica.

Questo percorso soggiace ad alcuni vincoli normativi, il primo dei quali è rappresentato da un freddo, ma inesorabile parametro numerico: in base alle indicazioni del Ministero dell’Istruzione, l’esistenza di  un’autonomia scolastica è subordinata al raggiungimento di un numero minimo di 600 allievi.

I numeri della realtà jesina ci dicono che gli Istituti Superiori con una popolazione scolastica inferiore a 600 allievi sono attualmente due: l’Istituto Tecnico “P. Cuppari” (n.531 allievi) e l’Istituto “Pieralisi” (costituito da IPSIA “Pieralisi” e IPAA “Salvati” di Monte Roberto per un totale di 527 allievi).

Per superare la situazione di deficit numerico, il Consiglio Comunale ha formulato una proposta di aggregazione dell’IPSIA “Pieralisi” di Jesi all’ITIS “Marconi” , in considerazione del fatto che i due istituti rappresentano da sempre realtà scolastiche con affinità rilevanti sotto il profilo didattico e con sedi adiacenti.

Nel contempo, il civico consesso ha espresso l’auspicio di giungere all’aggregazione tra l’Istituto Tecnico “P. Cuppari” di Jesi e l’Istituto Professionale Agrario “Serafino Salvati” di Monte Roberto.

L’intendimento è quello di costruire un polo scolastico dedicato alla “progettazione economica integrata” tra produzione agricola di qualità, ambiente, promozione del territorio e valorizzazione delle economie locali.

A prima vista, può sembrare illogica l’idea di accorpare un istituto tecnico con una scuola per l’agricoltura. In realtà, per il “Cuppari”, si tratterebbe, a tutti gli effetti, di un ritorno alle origini.

E’ necessario tornare all’epoca risorgimentale per comprendere come la scelta dell’aggregazione sia fondata su solide motivazioni.

All’indomani della battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860), il nuovo Governo del nascente Regno d’Italia nominò Lorenzo Valerio alla carica di Commissario Generale Straordinario delle Province delle Marche.

Valerio, avviò una profonda trasformazione civile e politica della Regione, distinguendosi per una forte politica di contrasto verso il mondo ecclesiastico.

Durante i quattro mesi nei quali rimase in carica, il Commissario emanò ben 840 decreti che ribaltarono completamente l'assetto delle Marche, fino a quel momento di matrice pontificia.

In particolare, Valerio si rese artefice di una capillare opera di soppressione e incameramento dei beni delle corporazioni religiose.

Nella Diocesi di Jesi i beni della Mensa Vescovile, del Capitolo, delle Confraternite, delle Collegiate e delle Opere Pie vennero espropriati, per essere assegnati ai Comuni o ad Enti di beneficenza laici di nuova istituzione oppure per essere venduti.

D’altra parte, va ascritto a merito di Valerio la riorganizzazione della pubblica istruzione, opera di cui, peraltro, il Commissario andò particolarmente fiero: “Ho istituito tre licei, uno a Fermo, uno a Macerata, a Senigallia il terzo; tre scuole tecniche superiori, cioè ad Ancona, a Fabriano ed a Pesaro ed una sezione agraria a Jesi, che già possedeva per questi studi un’accademia”.

In questo accenno autobiografico, è implicito il riferimento a quello che sarà l’Istituto “Cuppari”: le radici della prestigiosa scuola jesina debbono rinvenirsi nella Società Agraria Jesina e nella figura di un francescano conventuale: Padre Vincenzo Rinaldi.

Nato a S. Anatolia (oggi Esanatoglia) nel 1779, laureato in Filosofia, Teologia e Scienze, cultore di agronomia, alla professione di insegnante presso il Ginnasio di Jesi, abbinò l'impegno di studioso in materia di produzione del baco da seta.
Per impulso del frate e sotto l'egida del lungimirante Cardinale Pietro Ostini, Vescovo di Jesi, sorse, nel 1838, la Società Agraria Jesina, fondata da 63 soci, tra i quali figuravano personalità del calibro di Gaspare Spontini.
La presidenza del sodalizio venne affidata al Gonfaloniere Alessandro Ghislieri, mentre al Rinaldi fu demandato l'incarico di organizzare una scuola tecnico-pratica di agricoltura, con l'obiettivo di addestrare le nuove generazioni di contadini, in età compresa tra i 14 e i 18 anni, alla coltivazione  del baco secondo metodologie moderne.
Il titolo di “piccola Milano delle Marche” attribuito alla nostra città, evoca, a partire dalla prima metà del XIX secolo, l'epopea industriale di Jesi nel settore della produzione della seta.

Pochi numeri sono sufficienti per comprendere l'effettiva importanza dell'attività serica nel contesto economico locale.
Nel 1837, nasce la prima filanda: venti anni dopo gli stabilimenti diventeranno sette per arrivare al numero di dodici agli albori del novecento. All'epoca, su una popolazione di 23.000 abitanti, si conteranno ben 1.055 operaie occupate nel settore.
La storia del Cuppari prese, dunque, le mosse dalle scienze agrarie.
La formazione scolastica alimentò una imprenditoria innovativa, capace di incidere sul mercato nazionale e internazionale. Il marchese Giacomo Ripanti nel suo studio dal titolo “Cenni sull’industria della seta in Jesi” ebbe ad affermare: “Le sete di Jesi, prima tenute a vile anzi a dispregio, sono assai in credito fin sui mercati di Londra”.
Quell’obiettivo di innovazione, fissato quasi 160 anni fa, rimane più che mai valido e attuale anche per la realtà scolastica dei nostri giorni.

                                                                                                                            Mauro Torelli

venerdì 18 novembre 2016

Ti prego anche di portarmi quei dolci...





“A donna Jacopa, serva dell'Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo. 

Sappi, carissima, che il Signore benedetto mi ha fatto la grazia di rivelarmi che è ormai prossima la fine della mia vita. Perciò, se vuoi trovarmi ancora vivo, appena ricevuta questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli. Poiché se giungerai più tardi di sabato, non mi potrai vedere vivo.

E porta con te un panno di colore cenerino per avvolgere il mio corpo  e i ceri per la sepoltura. Ti prego anche di portarmi quei dolci, che tu eri solita darmi quando mi trovavo malato a Roma”.



Frate Jacopa - com'era chiamata - fu l'unica donna ammessa ad assistere al beato transito del Poverello d'Assisi. Arrivò ad Assisi prima che la lettera fosse spedita, portando proprio ciò che Francesco le aveva chiesto di portare.

E il Santo disse : “Benedetto Dio, che ha condotto noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite la porte, esclama, e fatela entrare, perché per frate Giacoma non c’è da seguire il decreto relativo alle donne!”.

Legenda Maggiore di Bonaventura da Bagnoregio



lunedì 14 novembre 2016

Dobbiamo sperare in un altro miracolo del Poverello?





Nel 1215, in viaggio nelle Marche, San Francesco si fermò a Pievebovigliana (Macerata), dove si stava costruendo una chiesa. Gli operai erano stanchi, e per rinfrescarli il santo tramutò l'acqua del pozzo del convento in vino. Questo narra la tradizione. Oggi che il campanile della chiesa di San Francesco è in parte crollato con il terremoto del 30 ottobre, il sindaco Sandro Luciani accusa: ''Nessuno si è degnato di venire a vedere, e quel che resta della torre campanaria rischia di schiantarsi sopra l'abside, con gli affreschi del XIII secolo, e su un'abitazione privata ancora indenne. Dobbiamo sperare in un altro miracolo del Poverello?''. ''Per San Francesco - spiega - siamo in attesa di lavori di consolidamento dal 1997. E' un monumento vincolato, non so se con il nuovo Decreto potremo intervenire direttamente, ma in questi giorni ho chiesto più volte un sopralluogo dei Gts, i Gruppi tecnici di sostegno, e non è venuto nessuno''.

fonte: Ansa


Prima del terremoto

La chiesa, la cui forma attuale risale al Settecento, ha un'unica navata a capriate e conserva la copia di un crocifisso trecentesco che la tradizione indica come donato dal santo di Assisi (l'originale è andato perduto nel 1892 durante un incendio). L'abside e le pareti laterali sono ornate da affreschi, recentemente riscoperti, di Cola di Pietro; la Madonna della Misericordia è attribuita a Girolamo di Giovanni.  




sabato 8 ottobre 2016

Ciao Lina

Lina Barchiesi (1926-2016)


In memoria di Lina Barchiesi, terziaria della Fraternità O.F.S. di San Francesco d'Assisi, maestra di scuola materna e promotrice della GiFra.

sabato 1 ottobre 2016

Frati e Giullari a Cupramontana

Il più famoso dei giullari d’Italia incontrò San Francesco d’Assisi e decise di seguirlo. I frati impararono a lodare Iddio in letizia e predicare con l’arte degli istrioni.

Cupramontana, Eremo dei Frati Bianchi 


FRATI E GIULLARI Joculatores Domini: laudi alle origini del Francescanesimo

Ensemble Micrologus




Sabato 24 settembre alle ore 18 le laudi alle origini del Francescanesimo risuonano nell’Eremo dei Frati Bianchi a Cupramontana, scenario ideale del concerto dell’Ensemble Micrologus dal titolo “Frati e Giullari. Joculatores Domini”, al termine del quale il publico è invitato ad una degustazione gratuita “nello spirito Francescano” di olio, vino e pane a cura di Food Brand Marche (ingresso riservato agli spettatori). Il concerto è realizzato dalla Fondazione Pergolesi Spontini in collaborazione con la Fondazione Eremo dei Frati Bianchi.
L’Eremo è situato nella profonda gola naturale del corvo; la sua costruzione risale secondo la tradizione ai primi anni dell’XI secolo e si pensa che fu fondato da S. Romualdo, al quale venne dedicata una delle grotte ricavate nella ripida parete di arenaria sul quale poggia la costruzione, chiamata in sua memoria “Cella di San Romualdo”. Le prime grotte dell’Eremo furono scavate direttamente nella roccia, alla fine del 1200, ed il luogo è circondato da un bosco silenzioso e bellissimo, da attaversare in un sentiero suggestivo che, ad ogni passo, si carica di spiritualità.

I musicisti dell’Ensemble Micrologus sono stati tra i primi a contribuire alla riscoperta della musica medievale e dello spirito con cui fare questa musica oggi.
Infatti, attraverso la ricerca e lo studio delle fonti dirette ed indirette è oggi possibile basare l’interpretazione della musica medievale su verosimili ipotesi di prassi esecutiva ed in generale di estetica musicale.
La ricerca delle fonti, le indagini storiche, paleografiche, organologiche ed iconografiche (che hanno permesso, in certi casi, di ricostruire strumenti musicali unici), lo studio e la comparazione dell’etnomusicologia sono alla base del lavoro dell’ Ensemble Micrologus.
Bisogna ricordare che proprio le ricerche etnomusicologiche hanno contribuito a rilanciare l’interpretazione della musica medievale, sia per quanto riguarda la riscoperta di particolari tecniche esecutive, vocali e strumentali, sia per chiarire problematiche d’intonazione nella modalità e nella polifonia: è infatti opinione, da più parti condivisa, che le culture musicali di tradizione orale conservino caratteristiche molto arcaiche assimilabili in linea di principio ad alcuni aspetti della musica antica ed in particolare di quella medioevale.
Inoltre, ritenendo fondamentale le ricostruzione della funzione della musica medievale, sia per chi esegue che per chi ascolta (all’epoca non esisteva il “concerto” vero e proprio), tutti i musicisti del Micrologus hanno partecipato alle varie Feste Medievali, prima fra tutte quella del Calendimaggio di Assisi , in cui l’evento musicale è oggi ricollocato nel proprio spazio sonoro e temporale: la chiesa (ovverosia la preghiera e la solennità), la corte (con il canto epico, la lirica d’amore e il ballo), la piazza ( con la festa e il ballo), la strada (con il corteo e la processione religiosa).

La storia

Nel 1984, i musicisti umbri, Patrizia Bovi, Goffredo Degli Esposti e Gabriele Russo, insieme ad Adolfo Broegg (1961-2006), hanno fondato l’Ensemble Micrologus, gruppo specializzato in musica medievale (XI-XV sec.).

Tra le prime esperienze fondamentali ci sono state la Festa del Calendimaggio di Assisi e il “Laboratorio Arte Musica e Spettacolo”, dove hanno realizzato diversi Drammi sacri e Sacre rappresentazioni medievali. Sempre negli anni ’80, hanno seguito i Corsi del Centro Studi Ars Nova di Certaldo, in cui hanno avuto l’opportunità di conoscere e confrontarsi con le idee dei più importanti musicologi italiani e internazionali.

Nel 1996, “Diapason d’Or de l’Année” per “Landini e la musica fiorentina”.

Nel 1999, “Diapason d’Or de l’Année” per “Alla napolitana” (preparato insieme con i musicisti del Centro di Musica Antica di Napoli “la Cappella della pietà de’ Turchini”).
“The Best of 2000 Award” di Goldberg per il “Cantico della terra”.
Nel 2009, con il Libro-CD “Aragòn en Nàpoles” riceve il premio “Biggest Surprise” dal Boston Globe, nella lista top classical albums dell’anno.

martedì 2 agosto 2016

Alle pendici di Colle Paradiso



Da alcuni mesi, all'interno degli spazi espositivi di Palazzo Pianetti, ha trovato degna collocazione un affresco del XVII secolo, di autore ignoto, proveniente dall'antica chiesetta del S. Crocifisso situata alle pendici di Colle Paradiso, nella zona di nuova urbanizzazione di via degli Appennini.

L'opera d’arte in questione è di proprietà privata ma è stata concessa in deposito temporaneo al Comune di Jesi per la durata di un quinquennio, a fronte dell’assunzione dell'impegno, da parte dell'Ente, di consentirne la pubblica fruzione;

Da una rapida consultazione dell'archivio storico di Voce della Vallesina, risulta che in almeno due occasioni (n. 32 del 2008 e n.9 del 2012) il settimanale si è occupato della condizione di fatiscenza dell'edificio religioso, costruito nel 1629 per volontà della Famiglia Piergentili e, successivamente, passato in  proprietà alla Famiglia Grilli.

Fino alla seconda metà del secolo scorso, la chiesetta fu officiata, nelle feste maggiori, dai Frati Minori del Convento di Campolungo (l’attuale via San Francesco).

L’affresco in questione raffigura il Cristo crocifisso affiancato da San Francesco d’Assisi stigmatizzato e da San Domenico di Guzman, entrambi in atteggiamento contemplativo.

Non ho competenze per una valutazione estetica dell’opera (peraltro ritenuta dagli esperti di pregevole realizzazione), ma credo che possa essere tentata un’analisi di alcuni contenuti  iconografici nonché del contesto storico di riferimento.

La raffigurazione congiunta dei due Santi ha precedenti illustri nel Quattrocento (Beato Angelico e Benozzo Gozzoli immaginarono l’abbraccio fraterno tra Francesco e Domenico) e si carica di un forte valore ideologico.

Ricordiamo che, nel XIII secolo,  la nascita pressoché contemporanea dell’ Ordine francescano (anno 1209) e dell’Ordine domenicano (anno 1214) segnò una svolta profonda nella Chiesa, in un periodo contrassegnato da dirompenti fenomeni ereticali.

Lo stesso Dante, nei canti XI e XII del Paradiso, riconobbe il ruolo provvidenziale di entrambi i Santi fondatori:

L’un fu tutto serafico in ardore;
l’altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore




D’altra parte, dopo la morte dei due Santi, nella fase di crescita impetuosa di entrambi gli Ordini, non mancarono attriti e incomprensioni tra francescani e domenicani, dettati da uno spirito di concorrenza in ambito ecclesiale. A testimonianza di quel clima, ricordiamo, ad esempio, che i domenicani per molti anni posero in dubbio la veridicità del miracolo dell’impressione delle stigmate sul corpo del Santo di Assisi.

La raffigurazione congiunta di Francesco e Domenico va, dunque, interpretata come simbolo di concordia e pacificazione tra gli Ordini, nel rispetto della volontà dei fondatori.

L’affresco della chiesetta del S. Crocifisso enfatizza tali sentimenti anche per la realtà jesina, caratterizzata – non a caso – dalla presenza di numerose comunità religiose di ispirazione francescana e domenicana.

Per i seguaci jesini di Francesco, il Seicento fu, indubbiamente, un secolo di grande splendore.
Pur nella divisione interna tra le varie obbedienze, l’Ordine maschile poteva contare su tre insediamenti: i Conventuali a San Floriano, i Minori dell’Osservanza a San Francesco al Monte (nell’area dove oggi è presente la Casa di Riposo) e i Cappuccini a San Michele (nella zona dell’attuale palestra Carducci).

Il ramo femminile della Clarisse fu, invece,  attivo nei conventi di Santa Chiara (Appannaggio) e della SS. Annunziata (ex Cuppari di vicolo Angeloni).

Nella stessa epoca, i domenicani abitarono il convento di via Valle cui era annesso un ospedale.

Il dipinto della chiesetta del S.Crocifisso sembra riflettere un sentimento di raggiunto equilibrio fra le due comunità religiose di origine mendicante.

Nel Seicento l'obiettivo prioritario di francescani e domenicani, in linea con i dettami del Concilio di Trento, deve essere quello di contrastare la riforma luterana, mediante una autentica testimonianza di vita religiosa.


                                                                                                           Mauro Torelli


Immagine di San Francesco (prima del restauro)




L’iconografia del Cristo rimanda in maniera abbastanza precisa a quello di Tiziano che si trova ad Ancona, realizzato nel 1558/59 proprio per la chiesa di S. Domenico.  Salvo poche varianti, il Cristo ricalca l’illustre modello nell’anatomia del corpo, nell’abbandono delle membra e del capo coronato di spine. I due Santi non sono posti in relazione tra loro, ma dialogano solo con il Crocefisso. S. Francesco è rivolto di  3/4 per mettere in risalto il profilo appuntito della barba e la linea adunca del naso. Più convenzionale è l’immagine di S. Domenico  rivolto verso l’esterno ma con lo sguardo perso nella rievocazione della morte del Cristo.  Riguardo ai riferimenti formali, l’impostazione massiccia delle due figure, il taglio “roccioso” del ginocchio destro di Francesco, insolitamente rappresentato come un uomo di mezza età; l’esatto aprirsi a metà del mantello di Domenico come una cortina o un sipario, in una posizione più statuaria che pittorica, rimandano invece ad un modello centro italiano. Come prima impressione direi che le 2 figure sono tratte da precisi modelli a cui con una più attenta analisi, non dovrebbe essere difficile risalire.


Il significato dell’opera è addirittura trasparente: non solo la semplice presenza di S. Francesco e di S. Domenico ai piedi della Croce rimanda al clima controriformistico, ma a ribadire il concetto si pone la posizione delle mani dei due Santi con le palme rivolte verso l’alto nel gesto detto della “dimostrazione”. I 2 Santi fondatori  invocano la Passione di Cristo come unico faro per l’interpretazione dell’ortodossia cattolica contro tutte le eresie. Il problema per noi contemporanei è che, in trasparenza a queste immagini, affiora l’Inquisizione i cui tribunali vennero affidati proprio ai due Ordini. La meraviglia semmai nasce dalla collocazione così periferica dell’affresco, in una chiesina che sicuramente non aveva legami con l’Inquisizione.

Loretta Mozzoni


Immagine di San Francesco (prima del restauro)



L'affresco dopo il restauro


Corriere Adriatico, 28 luglio 2016





La luna di Padre Pierpaolo


Importante riconoscimento per Padre Armando

Voce della Vallesina, 24 luglio 2016

sabato 18 giugno 2016

Apparve la Reina del cielo col suo Figliuolo benedetto in braccio, con grandissima chiarità di lume



Al tempo di questo santo frate Pietro, fu il santo frate Currado da Offida, il quale essendo insieme di famiglia nel luogo di Forano della custodia d'Ancona, il detto frate Currado se ne andò un dì nella selva a contemplare di Dio, e frate Pietro segretamente andò dirietro a lui per vedere ciò che gli addivenisse. E frate Currado cominciò a stare in orazione e pregare divotissimamente la Vergine Maria con grande pietà ch'ella gli accattasse questa grazia dal suo benedetto Figliuolo, ch'egli sentisse un poco di quella dolcezza la quale sentì santo Simeone il dì della Purificazione quand'egli portò in braccio Gesù Salvatore benedetto. E fatta questa orazione, la misericordiosa Vergine Maria lo esaudì: eccoti ch'apparve la Reina del cielo col suo Figliuolo benedetto in braccio, con grandissima chiarità di lume; e appressandosi a frate Currado, sì gli puose in braccio quello benedetto Figliuolo, il quale egli ricevendo, divotissimamente abbracciandolo e baciandolo e strignendolosi al petto, tutto si struggeva e risolveva in amore divino e inesplicabile consolazione. E frate Pietro simigliantemente, il quale di nascosto vedea ogni cosa, sentì nell'anima sua una grandissima dolcezza e consolazione. E partendo la Vergine Maria da frate Currado, frate Pietro in fretta si ritornò al luogo, per non essere veduto da lui; ma poiché quando frate Currado tornava tutto allegro e giocondo, gli disse frate Pietro: "O cielico, grande consolazione hai avuta oggi"; dicea frate Currado: "Che è quello che tu dici, frate Pietro, e che sai tu quello che io m'abbia avuto?". "Ben so io, ben so, dicea frate Pietro, come la Vergine Maria col suo benedetto figliuolo t'ha visitato". Allora frate Currado, il quale come veramente umile desiderava d'essere segreto nelle grazie di Dio, sì lo pregò che non lo dicesse a persona. E fu sì grande l'amore d'allora innanzi tra loro due, che un cuore e una anima parea che fusse infra loro in ogni cosa. E 'l detto frate Currado una volta, nello luogo di Siruolo, con le sue orazioni liberò una femmina indemoniata orando per lei tutta la notte e apparendo alla madre sua; e la mattina si fuggì per non essere trovato e onorato dal popolo. A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.

(Fioretti, cap. 42)




La Fraternità OFS di Jesi (San Francesco d'Assisi) in trasferta a Forano


Il rito dell'ammissione


Inizia il periodo di formazione per Amelia, Carla, Marco, Paola e Rosina



Il convento di Forano

La legnaia del convento




Refettorio del convento di Forano: il monito per i frati!



Il chiostro del convento di Forano



Haec est illa prisca janua dum hic adfuit S. Franciscus

Le origini del convento di Forano non sono storicamente documentate in maniera esauriente. Le maggiori informazioni provengono da fonti notevolmente posteriori all’insediamento dei francescani e devono essere recepite con le debite cautele. Nell’area occupata poi dal convento, o nelle sue vicinanze, tra XII e XIII secolo dovevano esistere degli insediamenti benedettini. Di certo era presente un ospitale detto de don Boni o di S. Bono e comunque anche le cronache francescane ricordano un ospizio benedettino. Il primo ad accogliere la tradizione del passaggio di S. Francesco nella selva di Forano, dove avrebbe fondato il convento e scavato una piccola fonte, era il venerabile Francesco Gonzaga nel suo De origine Seraphicae Religionis Franciscanae. Sulla scia delle indicazioni fomite dal Gonzaga, il Wadding precisava come la fondazione del convento francescano dovesse risalire al 1215. Secondo il padre Ciro da Pesaro intorno al 1215 S. Francesco, dopo aver predicato a Osimo, giungeva nella selva di Forano, dove trovava un piccolo ospizio di monaci abbandonato e cadente con annessa una chiesa dedicata all’Annunciazione di Maria. Il santo avrebbe occupato il luogo, ottenendo dalla comunità di Appignano otto some di terreno e dai nobili Silvestri di Cingoli arredi liturgici. Testimonianza materiale della presenza di S. Francesco sarebbe costituita per tradizione da un’antica porta in legno di quercia inserita nella facciata della primitiva chiesa, che è ora inglobata nella struttura dell’attuale convento. Il santo di Assisi avrebbe fatto il suo ingresso per tale porta e a memoria dell’avvenimento nell’architrave soprastante si legge: Haec est illa prisca janua dum hic adfuit S. Franciscus. Sullo stesso tratto di parete dell’antica facciata si conservano parti in affresco di un’Annunciazione, risalente di certo alla prima metà del Quattrocento. Verrebbe così confermata una dedicazione originaria alla Vergine annunciata, come riferito dal padre Ciro da Pesaro. Dal punto di vista della storia dell’arte il testo pittorico assume una grande importanza per essere una pregevole testimonianza del gotico maturo in area maceratese. Purtroppo risultano leggibili solo la zona di destra, con l’immagine della Vergine annunciata, e parzialmente la parte centrale con l’Eterno nella mandorla. L’area di sinistra, destinata ad accogliere la figura dell’Angelo annunciante, è stata purtroppo seriamente compromessa dalle opere di ristrutturazione occorse nei secoli XVII e XVIII. Comunque quel che rimane dimostra l’alta qualità espressa dall’autore attraverso una sapiente gestione degli spazi, non esente dalla ricerca di effetti illusionistici. Il tempietto poligonale, disposto tra l’Eterno nella mandorla e la Vergine, denuncia un forte horror vacui, che si accentua in misura maggiore grazie agli articolati profili delle colonnine tortili e dei pinnacoli. La sintonia un tempo esistente tra l’architettura reale dell’antico prospetto e lo spazio pittorico immaginato dall’autore è sottolineata dalla cornice a mensole, che delimita in alto l’affresco, e dallo zoccolo in basso, caratterizzato da marcate modanature. Recentemente la critica tende ad assegnare l’affresco a Giacomo di Nicola da Recanati, riconosciuto anche come l’autore della tavola raffigurante la Madonna con il Bambino, i beati Pietro da Treia e Corrado da Offida e santi, un tempo presso il sacello della Madonna degli Angeli di Forano e ora conservata nella parrocchiale di Treia . In realtà l’affresco di Forano sembra accostabile ad alcuni testi pittorici inseriti nel catalogo di Giacomo da Recanati e non ad altri. Una particolare vicinanza è ravvisabile con i lacerti in affresco dell’abside della cripta di S. Maria di Rambona, ma pare invece esistere una certa distanza con i frammenti, sempre in affresco, di S. Agostino e di S. Maria delle Grazie a Recanati. Tuttavia è possibile riconoscere il medesimo autore sia nell’Annunciazione di Forano che nella tavola della parrocchiale di Treia. Semmai è ancora da dimostrare che il pittore delle due opere sia effettivamente da riconoscere in Giacomo da Recanati. Ma prima di giungere a determinate conclusioni è necessario esaminare il dipinto di Treia, partendo dai racconti e dalle tradizioni che lo riguardano. La fama dell’insediamento religioso di Forano si deve a un evento miracoloso, narrato già dalle fonti francescane. Nella notte precedente il 2 febbraio 1289 la Vergine appariva, con il Bambino in braccio, a frate Corrado da Offida che era assorto in preghiera nella selva vicino al convento. Alla miracolosa visione assisteva, più in disparte, anche frate Pietro da Montecchio (o da Treia). In seguito a tale miracoloso evento veniva edificato un sacello dedicato alla Madonna degli Angeli, dove nella prima metà del XV secolo trovava collocazione la già menzionata tavola della parrocchiale di Treia. La chiesa e il convento venivano più volte restaurati tra XVII e XVIII secolo. L’altare maggiore era destinato a ospitare una grande pala attribuita a Pier Simone Fanelli e raffigurante la Vergine con il Bambino tra i santi Francesco, Chiara, Antonio da Padova e S. Pietro d’Alcantara . Il Fanelli, pittore tutto sommato ancora da studiare, probabilmente non era nuovo a iconografie francescane se è realmente da attribuire a lui un iconico dipinto raffigurante S. Francesco, conservato presso la Pinacoteca Civica di Recanati. Infine si segnalano presso il chiostro del convento, caratterizzato dalla presenza di un’antica cisterna dotata di un mirabile sistema per la raccolta delle acque, i frammenti di una decorazione pittorica incentrata probabilmente sulle figure di papi e cardinali appartenenti all’ordine francescano, individuati dai rispettivi stemmi.
L. CHIAPPINI – D. FRAPICCINI – A. MERIGGI – G. PICCININI – C. PONGETTI
Appignano – I segni della storia