Da alcuni mesi, all'interno degli spazi espositivi di Palazzo Pianetti, ha trovato degna collocazione un affresco del XVII secolo, di autore ignoto, proveniente dall'antica chiesetta del S. Crocifisso situata alle pendici di Colle Paradiso, nella zona di nuova urbanizzazione di via degli Appennini.
L'opera d’arte
in questione è di proprietà privata ma è stata concessa in deposito temporaneo
al Comune di Jesi per la durata di un quinquennio, a fronte dell’assunzione
dell'impegno, da parte dell'Ente, di consentirne la pubblica fruzione;
Da una rapida
consultazione dell'archivio storico di Voce della Vallesina, risulta che in
almeno due occasioni (n. 32 del 2008 e n.9 del 2012) il settimanale si è
occupato della condizione di fatiscenza dell'edificio religioso, costruito nel
1629 per volontà della Famiglia Piergentili e, successivamente, passato in proprietà alla Famiglia Grilli.
Fino alla
seconda metà del secolo scorso, la chiesetta fu officiata, nelle feste
maggiori, dai Frati Minori del Convento di Campolungo (l’attuale via San
Francesco).
L’affresco in questione
raffigura il Cristo crocifisso affiancato da San Francesco d’Assisi
stigmatizzato e da San Domenico di Guzman, entrambi in atteggiamento
contemplativo.
Non ho competenze per una
valutazione estetica dell’opera (peraltro ritenuta dagli esperti di pregevole
realizzazione), ma credo che possa essere tentata un’analisi di alcuni
contenuti iconografici nonché del
contesto storico di riferimento.
La raffigurazione congiunta dei
due Santi ha precedenti illustri nel Quattrocento (Beato Angelico e Benozzo
Gozzoli immaginarono l’abbraccio fraterno tra Francesco e Domenico) e si carica
di un forte valore ideologico.
Ricordiamo che, nel XIII
secolo, la nascita pressoché
contemporanea dell’ Ordine francescano (anno 1209) e dell’Ordine domenicano
(anno 1214) segnò una svolta profonda nella Chiesa, in un periodo
contrassegnato da dirompenti fenomeni ereticali.
Lo stesso Dante, nei canti XI e XII del Paradiso, riconobbe
il ruolo provvidenziale di entrambi i Santi fondatori:
L’un fu tutto serafico in ardore;
l’altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore
l’altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore
D’altra parte,
dopo la morte dei due Santi, nella fase di crescita impetuosa di entrambi gli
Ordini, non mancarono attriti e incomprensioni tra francescani e domenicani,
dettati da uno spirito di concorrenza in ambito ecclesiale. A testimonianza di
quel clima, ricordiamo, ad esempio, che i domenicani per molti anni posero in
dubbio la veridicità del miracolo dell’impressione delle stigmate sul corpo del
Santo di Assisi.
La
raffigurazione congiunta di Francesco e Domenico va, dunque, interpretata come
simbolo di concordia e pacificazione tra gli Ordini, nel rispetto della volontà
dei fondatori.
L’affresco della
chiesetta del S. Crocifisso enfatizza tali sentimenti anche per la realtà
jesina, caratterizzata – non a caso – dalla presenza di numerose comunità
religiose di ispirazione francescana e domenicana.
Per i seguaci
jesini di Francesco, il Seicento fu, indubbiamente, un secolo di grande
splendore.
Pur nella
divisione interna tra le varie obbedienze, l’Ordine maschile poteva contare su
tre insediamenti: i Conventuali a San Floriano, i Minori dell’Osservanza a San
Francesco al Monte (nell’area dove oggi è presente la Casa di Riposo) e i Cappuccini
a San Michele (nella zona dell’attuale palestra Carducci).
Il ramo
femminile della Clarisse fu, invece,
attivo nei conventi di Santa Chiara (Appannaggio) e della SS. Annunziata
(ex Cuppari di vicolo Angeloni).
Nella stessa
epoca, i domenicani abitarono il convento di via Valle cui era annesso un
ospedale.
Il dipinto della
chiesetta del S.Crocifisso sembra riflettere un sentimento di raggiunto
equilibrio fra le due comunità religiose di origine mendicante.
Nel Seicento
l'obiettivo prioritario di francescani e domenicani, in linea con i dettami del
Concilio di Trento, deve essere quello di contrastare la riforma luterana,
mediante una autentica testimonianza di vita religiosa.
L’iconografia
del Cristo rimanda in maniera abbastanza precisa a
quello di Tiziano che si trova ad Ancona, realizzato nel
1558/59 proprio per la
chiesa di S. Domenico. Salvo poche varianti, il Cristo
ricalca l’illustre modello
nell’anatomia del corpo, nell’abbandono delle membra e del
capo coronato di
spine. I due Santi non sono posti in relazione tra loro, ma
dialogano solo con
il Crocefisso. S. Francesco è rivolto di 3/4 per mettere in
risalto il profilo
appuntito della barba e la linea adunca del naso. Più
convenzionale è l’immagine
di S. Domenico rivolto verso l’esterno ma con lo sguardo
perso nella
rievocazione della morte del Cristo. Riguardo ai
riferimenti formali, l’impostazione
massiccia delle due figure, il taglio “roccioso” del
ginocchio destro di
Francesco, insolitamente rappresentato come un uomo di mezza
età; l’esatto aprirsi
a metà del mantello di Domenico come una cortina o un
sipario, in una posizione
più statuaria che pittorica, rimandano invece ad un modello
centro italiano. Come
prima impressione direi che le 2 figure sono tratte da
precisi modelli a cui
con una più attenta analisi, non dovrebbe essere difficile
risalire.
Il
significato dell’opera è addirittura trasparente: non solo
la
semplice presenza di S. Francesco e di S. Domenico ai piedi
della Croce rimanda
al clima controriformistico, ma a ribadire il concetto si
pone la posizione
delle mani dei due Santi con le palme rivolte verso l’alto
nel gesto detto
della “dimostrazione”. I 2 Santi fondatori invocano la
Passione di Cristo come
unico faro per l’interpretazione dell’ortodossia cattolica
contro tutte le
eresie. Il problema per noi contemporanei è che, in
trasparenza a queste
immagini, affiora l’Inquisizione i cui tribunali vennero
affidati proprio ai
due Ordini. La meraviglia semmai nasce dalla collocazione
così periferica dell’affresco,
in una chiesina che sicuramente non aveva legami con
l’Inquisizione.
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