sabato 23 novembre 2024

Lo zendale rimboccato di Luigi Bartolini

 

Voce della Vallesina, 17 novembre 2024

Quasi in sordina è circolata, nelle scorse settimane, la notizia della ristampa, a cura della casa editrice “La nave di Teseo”, del romanzo “Ladri di biciclette”, capolavoro di Luigi Bartolini, pubblicato per la prima volta nel 1946.

L’inguaribile ritrosia dei marchigiani rischia di sottovalutare la rilevanza dell’evento editoriale, con la conseguenza di lasciare in ombra il talento multiforme di questo figlio di Cupramontana, apprezzato per le eccelse qualità di incisore (tra i migliori del Novecento) e per le singolari doti di scrittore e poeta (“La sua prosa è crepitante, miracolosamente in bilico tra l’estro capriccioso e una sapiente classicità” Geno Pampaloni).

Non è facile individuare nella realtà artistica del secolo scorso, altro autore che possa uguagliare Luigi Bartolini (1892-1963) per varietà e mole di produzione. Ammontano ad oltre 1300 le lastre incise nel corso della sua attività, più di 80 sono i titoli dei suoi libri, cui si aggiungono un numero imprecisato di quadri e di saggi nelle maggiori riviste letterarie dell’epoca (“Fieramosca”, “Il Frontespizio”, “Il Selvaggio”).

Ladri di biciclette”, all’inizio stampato in appena 150 copie, fu rieditato dalla Longanesi nel 1948 e dalla Vallecchi nel 1954. Nel corso degli anni, il testo ha raggiunto livelli di diffusione straordinari, come attestato da ben quindici traduzioni (persino in norvegese, svedese ed ebraico).

Non a caso, Valerio Volpini ebbe a definire “Ladri di biciclette” come uno dei romanzi “più riusciti e felici di questo dopoguerra”.

All’opera letteraria si ispirò (non senza vibranti contestazioni da parte dell’autore) la sceneggiatura dell’omonimo film di Vittorio de Sica, Premio Oscar nel 1954.

Il romanzo è ambientato a Roma nel settembre del 1944, a pochi mesi dall’avvenuta liberazione ad opera delle truppe del Generale Clark: il protagonista viene derubato del suo unico mezzo di locomozione, indispensabile per poter lavorare (“La bicicletta d’alluminio, bella, leggera, del peso di cinque chili, con i copertoni seminuovi, il manubrio da corsa, il portapacchi”).

Nell’attività di indagine per ritrovare il bene sottratto, Bartolini trascina il lettore nei quartieri malfamati della capitale (“Siamo nei paraggi di Campo de’ Fiori, covo d’antichi ladri e d’attuali, centuplicati. Via dei Baullari, via dei Coronari, vicolo del Cinque; lì sono i covi, le case, le osterie, i bar, le botteghe, i ripostigli, i bordelli, i ricettacoli dei ladri”): una sorta di girone infernale in cui vige suprema la legge del furto.

Di fronte a tale tragedia morale, Bartolini matura una personale forma di pietas laica, frammista ad elementi umoristici: “L’uomo è, del resto, ladro per natura. Esistono teorie politiche che ammettono il furto. Lo stesso San Francesco accenna, nella sua Regola, al seguente: si può, andando per campagne, togliere, a un albero, tanti fichi, o tanta uva, quanti fichi o uva entrino in un fardello. San Francesco dà anche la misura del fardello: che non deve superare quella d’uno zendale rimboccato”.

Nella visione bartoliniana, la ricerca ossessiva della bicicletta assume un valore esemplare per spiegare il senso autentico della vita: “Non si tratta, vivendo, che di ritrovare il perduto. Lo si può ritrovare una, due volte, tre, come io, per due volte sono riuscito a ritrovare la bicicletta. Ma verrà la terza volta e ritroverò più nulla. Così, è, ripeto tutta l’esistenza. E’ un correre a ritroso, per finalmente perdere o morire (…). Si cercan fin troppe cose prima di morire. Ed io cercherò un volto amico e troverò soltanto quello di Luciana, se lo troverò: che sarebbe, per i miei ultimi dolori, già un morire con il sole davanti agli occhi”.

Proprio in questi giorni l’amatissima figlia Luciana ha voluto donare al Comune di Jesi un’opera del padre (“Il bambino cinese”, olio su cartone del 1952), “a testimonianza del profondo legame che Bartolini ha sempre intrattenuto con l’atmosfera culturale di questi luoghi”.

In effetti, la formazione artistica di Luigi Bartolini ebbe inizio a Jesi con la frequenza della Scuola Tecnica (si diplomò nel 1907 con un dieci in disegno), per poi proseguire a Siena, Roma e Firenze e dispiegarsi, nella maturità, in tante città italiane.

Mai, tuttavia, si affievolirà la nostalgia per il paese natio (“La bella Cupreo. Cupreo in greco significa rame corrusco e, dunque, Cupramontana significa colle fiammeggiante”) e per i suoi fieri abitanti.

Mauro Torelli

sabato 2 novembre 2024

Il mare amarissimo

 

Ritratto di santa Camilla Battista da Varano, olio su tela, Monastero Santa Chiara di Camerino. Iscrizione: L.B.M. SORA BATTISTA. VARANI/ FIGLIOLA. DEL. DVCA. FON(D)ATRICE/ DEL. SACRO. MONASTERO. DI./ SANTA.CHIARA.DI CAMERINO./16(?)3

Nei giorni scorsi il Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, fr. Massimo Fusarelli, ha scritto una lettera in occasione del quinto centenario della morte di santa Camilla Battista Varano, avvenuta il 17 ottobre 1524, che nella ‘Vita spirituale’, redatta nel 1491 ed indirizzata al frate francescano Domenico da Leonessa, scrive: ‘Mi pare di poterla chiamare con tutta sincerità infelicissima felicità.. Ornarmi e leggere le cose vane,… in suonare, cantare, ballare, pazzeggiare e altre cose giovanili e mondane… Mi erano in tanto fastidio le cose devote e i frati e le suore, che non [ne] potevo vedere nessuno’.

Da qui prende spunto la lettera del Ministro generale, che analizza il testo della Santa: “Il testo rivela in filigrana le doti letterarie non comuni di questa donna, ma soprattutto dischiude al mistero dell’incontro tra la giovane Camilla e il ‘suo Signore’, rivelandoci i tratti di una relazione viva e vivace che giungerà alla fecondità mistica del percorre la ‘via del Divino Amore’ giungendo a ‘vedere tanto amore, immenso come il mare e sviscerato, senza alcun ordine e misura che Dio portava alla creatura, che non mi potevo trattenere dal dire: O pazzia! O pazzia!’ Nessun vocabolo mi pareva più vero e conveniente a tanto amore’… Il desiderio di donarsi al Signore maturerà solo alcuni anni dopo, durante la quaresima del 1479, ravvivato dall’ascolto di un’altra predica, questa volta del frate minore Francesco da Urbino”.

Alcuni anni dopo fa la professione di fede: “Così il 14 novembre 1481 entra nel monastero delle clarisse di Urbino e cinque mesi dopo farà la sua ‘amara professione’ nella vita religiosa, come la definì alcuni anni dopo nei Ricordi di Gesù Cristo rievocando i molti ostacoli affrontati…

Ad Urbino Camilla Battista trovò ‘il dolcissimo canto delle preghiere devote, la bellezza dei buoni esempi, i segreti giacigli delle grazie divine e dei doni del cielo’. Nel 1484, dietro le pressioni paterne e in obbedienza al Papa, rientra, con otto sorelle, a Camerino, in un antico monastero restaurato per l’occasione dal padre. Qui Camilla Battista introduce la regola di santa Chiara di Assisi, con la scelta inequivocabile e ferma di osservare l’altissima povertà, rifiutando ogni dispensa, pena lo scioglimento istantaneo della comunità, ostacolando così il disegno del duca di dotare il monastero di rendite e benefici”.

Nel 1484 compone l’opera ‘I dolori mentali di Gesù Cristo nella sua passione’: “Custodendo la ‘continua e dolce memoria della Passione di Cristo, arca dei tesori celesti, fonte inesauribile d’acqua viva, pozzo profondissimo dei segreti di Dio’, Camilla Battista, guidata da Gesù, giunge a penetrare il mistero della passione attraverso una nuova prospettiva, come lei stessa rivela:

‘Durante quel tempo fui introdotta, per mirabile grazia dello Spirito Santo, nel cuore di Gesù, vero e solo mare amarissimo, insondabile ad ogni intelletto angelico e umano. E mi fu mostrato che tanta differenza c’è tra chi si appaga delle pene mentali di Gesù Cristo e chi invece si appaga solo nella umanità appassionata di Cristo, quanta differenza c’è tra il vaso ricolmo di miele e il vaso che fuori è irrigato un poco da quello che sta dentro’…

E accade il prodigio: Cristo le dischiude il suo cuore, ‘quel cuore trafitto dalla lancia, quel cuore che ha sopportato tutte le vicende umane, che non si è ritratto di fronte al rischio cui l’esponeva l’amore, né si è rinchiuso in se stesso perché il suo amore fiammante non veniva corrisposto’, e in quel cuore, attraverso il costato ferito, all’amata è dato di contemplare il sigillo della promessa: ‘Io ti amo Camilla’. Ecco perché santa Camilla Battista giungerà alla vertiginosa richiesta di rimanere lì, ai piedi di quel crocifisso, per sempre”.

La lettera del ministro generale si sofferma sulla spiritualità della santa camerte: “Negli anni seguenti al rientro, Camilla Battista rimarrà a Camerino fino alla morte avvenuta il 31 maggio 1524 a causa della peste. La permanenza è interrotta solo da rare occasioni legate a missioni come quella affidatale nel 1505-1507 dal papa Giulio II per la riforma del monastero delle clarisse di Fermo e quella analoga del 1521-1522 presso la comunità di San Severino Marche…

La vicenda storica e familiare di Camilla Battista ci introduce a quel mistero che rappresenta ogni santo per la Chiesa di Dio. Tra le pieghe degli eventi e delle vicissitudini liete e drammatiche, nobili e contraddittorie, si nasconde l’avventura spirituale e mistica di questa grande donna. La figura di Camilla Battista appartiene alla numerosa schiera di mistiche, non solo francescane e italiane. Nel suo profilo spirituale trovano una straordinaria sintesi la fede e l’umanità, la mistica e la quotidianità, lo spirito e la carne, la ragione e l’emozione, la terra e il cielo, l’amore e il dolore”.

Infatti la mistica è la chiave di lettura per comprendere un’esperienza di santità: “La mistica, quale chiave di lettura dell’esperienza di un santo, indica a ciascuno di noi la meta della nostra sequela di Cristo e rappresenta una finestra aperta sul mistero della compartecipazione dell’essere umano al disegno d’amore del Padre. L’esperienza mistica di Camilla Battista ci aiuta a guarire la costante tentazione di espellere dal nostro cammino spirituale quanto di reale, contraddittorio, scandaloso e banale sperimentiamo nella nostra vita”.

La mistica è un aiuto a vivere la quotidianità: “Ci aiuta a salvare il contatto con la realtà, sempre complessa e caotica. Ci insegna e ci ricorda che la vera mistica non elude il quotidiano, non rifugge l’angoscia, non teme la vita reale. Anzi, è proprio la vita reale, con le sue imprevedibili e sfiancanti sfide, il luogo in cui la vera mistica prende carne e si sviluppa, mediante l’ascolto, la lotta e l’amore, ossia riconoscendo la presenza discreta ma efficace di Colui che fa nuove tutte le cose”.

Ed ha tracciato alcune caratteristiche di santa Camilla: “Camilla Battista innanzitutto è una donna che ascolta, nel senso biblico e mariano di questo termine. Ascolta e mette in pratica. Non appena capisce di aver incontrato qualcosa che può farla progredire nel cammino spirituale, come accadde durante l’ascolto della ‘predica della lacrimuccia’ di fra Domenico da Leonessa e quella della ‘scintilla’ di fra Francesco da Urbino: decide, delibera, si assume la responsabilità della propria vita e la fedeltà tenace a questi piccoli impegni diventa la goccia che scava in lei il canale per il passaggio della grazia”.

Quindi la mistica non è una rinuncia: “Un’altra caratteristica della spiritualità della Varano è quella della lotta, passaggio ineludibile e inevitabile di qualsiasi esperienza cristiana. Camilla non si arrende alle prime difficoltà, non si scoraggia quando sopravvengono le intemperie, non si lamenta giustificando la propria passività, ma resta in una posizione attiva, adulta, consapevole della complessità, ma anche dell’obiettivo del proprio lottare. Ed è proprio l’amore, ardente e appassionato, verso il suo Dolcissimo Sposo, che costituisce la ragione, lo scopo, il premio e la beatitudine di questa santa”.

In questa ‘lotta’ santa Camilla entra in ‘relazione’ con Cristo: “Nel mare sconfinato del Cuore di Cristo, Camilla Battista immerge tutta la sua umanità, i suoi desideri più profondi, il suo anelito alla pienezza di vita e di bene. E’ infatti la relazione con Cristo il senso autentico di ogni mistica, che ci spoglia continuamente del nostro attaccamento al fare, all’apparire e al piacere per concederci la vertiginosa esperienza dell’essere-con e dell’essere-in.

La figura di questa Santa ci mostra come la chiamata alla santità non si colloca a livello del ‘cosa fare’, ma del ‘di chi essere’ o ‘a chi appartenere’. Da questa intimità con Cristo, coltivata e rinnovata ogni giorno, lei ci insegna a ricevere ogni giorno la nostra identità, ad apprendere l’autentica conoscenza di Dio, delle nostre capacità e limiti, degli altri e del mondo”.

Tale anniversario è un’occasione per ‘convertire’ il proprio rapporto con la storia e con se stessi: “Molto spesso quello che ostacola il nostro cammino spirituale e soprattutto la sua continua crescita ed evoluzione, sono eventi che accadono nella storia; e poi l’esperienza drammatica della sofferenza e del dolore, e persino elementi della nostra umanità, sempre in tensione tra fragilità e autentica forza, tra le immaturità affettive e il desiderio di relazioni buone.

San Francesco alla Verna ha vissuto la sua ‘grande tentazione’, sciolta in un incontro nuovo con il Cristo. Da parte sua, Camilla Battista di fronte a queste tre sfide ci offre una pista, una luce, per attingere dalla sua esperienza criteri e strumenti per il discernimento nella vita concreta di ogni giorno”.

Quindi la ‘lezione’ della mistica camerte è quella di rimanere ‘incarnati’ nella realtà: “La mistica camerte ci ricorda invece che ogni cammino spirituale, per essere veramente incarnato, deve restare, per tutto il tempo della nostra vita, ancorato alla nostra realtà di creature, con i suoi ineliminabili chiaroscuri. Camilla Battista non ha paura di mostrarsi a noi nella sua fragilità umana e di donna, nelle sue passioni e desideri, perché, senza togliere o cancellare nulla, tutto di lei ha saputo convergere verso Cristo, orientare verso il Regno”.

E’ questa la santità proposta da santa Camilla: “Per questo ci propone e restituisce, oggi, una santità e una mistica integrata e integrale. Oggi riconosciamo che le ferite che segnano il corpo e lo spirito di san Francesco non lo rendono un essere celeste, ma ci consegnano l’immagine viva di Cristo proprio in un’umanità fragile e ferita, percossa e amata incondizionatamente. Un annuncio di speranza per tanti!”