sabato 2 novembre 2024

Il mare amarissimo

 

Ritratto di santa Camilla Battista da Varano, olio su tela, Monastero Santa Chiara di Camerino. Iscrizione: L.B.M. SORA BATTISTA. VARANI/ FIGLIOLA. DEL. DVCA. FON(D)ATRICE/ DEL. SACRO. MONASTERO. DI./ SANTA.CHIARA.DI CAMERINO./16(?)3

Nei giorni scorsi il Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, fr. Massimo Fusarelli, ha scritto una lettera in occasione del quinto centenario della morte di santa Camilla Battista Varano, avvenuta il 17 ottobre 1524, che nella ‘Vita spirituale’, redatta nel 1491 ed indirizzata al frate francescano Domenico da Leonessa, scrive: ‘Mi pare di poterla chiamare con tutta sincerità infelicissima felicità.. Ornarmi e leggere le cose vane,… in suonare, cantare, ballare, pazzeggiare e altre cose giovanili e mondane… Mi erano in tanto fastidio le cose devote e i frati e le suore, che non [ne] potevo vedere nessuno’.

Da qui prende spunto la lettera del Ministro generale, che analizza il testo della Santa: “Il testo rivela in filigrana le doti letterarie non comuni di questa donna, ma soprattutto dischiude al mistero dell’incontro tra la giovane Camilla e il ‘suo Signore’, rivelandoci i tratti di una relazione viva e vivace che giungerà alla fecondità mistica del percorre la ‘via del Divino Amore’ giungendo a ‘vedere tanto amore, immenso come il mare e sviscerato, senza alcun ordine e misura che Dio portava alla creatura, che non mi potevo trattenere dal dire: O pazzia! O pazzia!’ Nessun vocabolo mi pareva più vero e conveniente a tanto amore’… Il desiderio di donarsi al Signore maturerà solo alcuni anni dopo, durante la quaresima del 1479, ravvivato dall’ascolto di un’altra predica, questa volta del frate minore Francesco da Urbino”.

Alcuni anni dopo fa la professione di fede: “Così il 14 novembre 1481 entra nel monastero delle clarisse di Urbino e cinque mesi dopo farà la sua ‘amara professione’ nella vita religiosa, come la definì alcuni anni dopo nei Ricordi di Gesù Cristo rievocando i molti ostacoli affrontati…

Ad Urbino Camilla Battista trovò ‘il dolcissimo canto delle preghiere devote, la bellezza dei buoni esempi, i segreti giacigli delle grazie divine e dei doni del cielo’. Nel 1484, dietro le pressioni paterne e in obbedienza al Papa, rientra, con otto sorelle, a Camerino, in un antico monastero restaurato per l’occasione dal padre. Qui Camilla Battista introduce la regola di santa Chiara di Assisi, con la scelta inequivocabile e ferma di osservare l’altissima povertà, rifiutando ogni dispensa, pena lo scioglimento istantaneo della comunità, ostacolando così il disegno del duca di dotare il monastero di rendite e benefici”.

Nel 1484 compone l’opera ‘I dolori mentali di Gesù Cristo nella sua passione’: “Custodendo la ‘continua e dolce memoria della Passione di Cristo, arca dei tesori celesti, fonte inesauribile d’acqua viva, pozzo profondissimo dei segreti di Dio’, Camilla Battista, guidata da Gesù, giunge a penetrare il mistero della passione attraverso una nuova prospettiva, come lei stessa rivela:

‘Durante quel tempo fui introdotta, per mirabile grazia dello Spirito Santo, nel cuore di Gesù, vero e solo mare amarissimo, insondabile ad ogni intelletto angelico e umano. E mi fu mostrato che tanta differenza c’è tra chi si appaga delle pene mentali di Gesù Cristo e chi invece si appaga solo nella umanità appassionata di Cristo, quanta differenza c’è tra il vaso ricolmo di miele e il vaso che fuori è irrigato un poco da quello che sta dentro’…

E accade il prodigio: Cristo le dischiude il suo cuore, ‘quel cuore trafitto dalla lancia, quel cuore che ha sopportato tutte le vicende umane, che non si è ritratto di fronte al rischio cui l’esponeva l’amore, né si è rinchiuso in se stesso perché il suo amore fiammante non veniva corrisposto’, e in quel cuore, attraverso il costato ferito, all’amata è dato di contemplare il sigillo della promessa: ‘Io ti amo Camilla’. Ecco perché santa Camilla Battista giungerà alla vertiginosa richiesta di rimanere lì, ai piedi di quel crocifisso, per sempre”.

La lettera del ministro generale si sofferma sulla spiritualità della santa camerte: “Negli anni seguenti al rientro, Camilla Battista rimarrà a Camerino fino alla morte avvenuta il 31 maggio 1524 a causa della peste. La permanenza è interrotta solo da rare occasioni legate a missioni come quella affidatale nel 1505-1507 dal papa Giulio II per la riforma del monastero delle clarisse di Fermo e quella analoga del 1521-1522 presso la comunità di San Severino Marche…

La vicenda storica e familiare di Camilla Battista ci introduce a quel mistero che rappresenta ogni santo per la Chiesa di Dio. Tra le pieghe degli eventi e delle vicissitudini liete e drammatiche, nobili e contraddittorie, si nasconde l’avventura spirituale e mistica di questa grande donna. La figura di Camilla Battista appartiene alla numerosa schiera di mistiche, non solo francescane e italiane. Nel suo profilo spirituale trovano una straordinaria sintesi la fede e l’umanità, la mistica e la quotidianità, lo spirito e la carne, la ragione e l’emozione, la terra e il cielo, l’amore e il dolore”.

Infatti la mistica è la chiave di lettura per comprendere un’esperienza di santità: “La mistica, quale chiave di lettura dell’esperienza di un santo, indica a ciascuno di noi la meta della nostra sequela di Cristo e rappresenta una finestra aperta sul mistero della compartecipazione dell’essere umano al disegno d’amore del Padre. L’esperienza mistica di Camilla Battista ci aiuta a guarire la costante tentazione di espellere dal nostro cammino spirituale quanto di reale, contraddittorio, scandaloso e banale sperimentiamo nella nostra vita”.

La mistica è un aiuto a vivere la quotidianità: “Ci aiuta a salvare il contatto con la realtà, sempre complessa e caotica. Ci insegna e ci ricorda che la vera mistica non elude il quotidiano, non rifugge l’angoscia, non teme la vita reale. Anzi, è proprio la vita reale, con le sue imprevedibili e sfiancanti sfide, il luogo in cui la vera mistica prende carne e si sviluppa, mediante l’ascolto, la lotta e l’amore, ossia riconoscendo la presenza discreta ma efficace di Colui che fa nuove tutte le cose”.

Ed ha tracciato alcune caratteristiche di santa Camilla: “Camilla Battista innanzitutto è una donna che ascolta, nel senso biblico e mariano di questo termine. Ascolta e mette in pratica. Non appena capisce di aver incontrato qualcosa che può farla progredire nel cammino spirituale, come accadde durante l’ascolto della ‘predica della lacrimuccia’ di fra Domenico da Leonessa e quella della ‘scintilla’ di fra Francesco da Urbino: decide, delibera, si assume la responsabilità della propria vita e la fedeltà tenace a questi piccoli impegni diventa la goccia che scava in lei il canale per il passaggio della grazia”.

Quindi la mistica non è una rinuncia: “Un’altra caratteristica della spiritualità della Varano è quella della lotta, passaggio ineludibile e inevitabile di qualsiasi esperienza cristiana. Camilla non si arrende alle prime difficoltà, non si scoraggia quando sopravvengono le intemperie, non si lamenta giustificando la propria passività, ma resta in una posizione attiva, adulta, consapevole della complessità, ma anche dell’obiettivo del proprio lottare. Ed è proprio l’amore, ardente e appassionato, verso il suo Dolcissimo Sposo, che costituisce la ragione, lo scopo, il premio e la beatitudine di questa santa”.

In questa ‘lotta’ santa Camilla entra in ‘relazione’ con Cristo: “Nel mare sconfinato del Cuore di Cristo, Camilla Battista immerge tutta la sua umanità, i suoi desideri più profondi, il suo anelito alla pienezza di vita e di bene. E’ infatti la relazione con Cristo il senso autentico di ogni mistica, che ci spoglia continuamente del nostro attaccamento al fare, all’apparire e al piacere per concederci la vertiginosa esperienza dell’essere-con e dell’essere-in.

La figura di questa Santa ci mostra come la chiamata alla santità non si colloca a livello del ‘cosa fare’, ma del ‘di chi essere’ o ‘a chi appartenere’. Da questa intimità con Cristo, coltivata e rinnovata ogni giorno, lei ci insegna a ricevere ogni giorno la nostra identità, ad apprendere l’autentica conoscenza di Dio, delle nostre capacità e limiti, degli altri e del mondo”.

Tale anniversario è un’occasione per ‘convertire’ il proprio rapporto con la storia e con se stessi: “Molto spesso quello che ostacola il nostro cammino spirituale e soprattutto la sua continua crescita ed evoluzione, sono eventi che accadono nella storia; e poi l’esperienza drammatica della sofferenza e del dolore, e persino elementi della nostra umanità, sempre in tensione tra fragilità e autentica forza, tra le immaturità affettive e il desiderio di relazioni buone.

San Francesco alla Verna ha vissuto la sua ‘grande tentazione’, sciolta in un incontro nuovo con il Cristo. Da parte sua, Camilla Battista di fronte a queste tre sfide ci offre una pista, una luce, per attingere dalla sua esperienza criteri e strumenti per il discernimento nella vita concreta di ogni giorno”.

Quindi la ‘lezione’ della mistica camerte è quella di rimanere ‘incarnati’ nella realtà: “La mistica camerte ci ricorda invece che ogni cammino spirituale, per essere veramente incarnato, deve restare, per tutto il tempo della nostra vita, ancorato alla nostra realtà di creature, con i suoi ineliminabili chiaroscuri. Camilla Battista non ha paura di mostrarsi a noi nella sua fragilità umana e di donna, nelle sue passioni e desideri, perché, senza togliere o cancellare nulla, tutto di lei ha saputo convergere verso Cristo, orientare verso il Regno”.

E’ questa la santità proposta da santa Camilla: “Per questo ci propone e restituisce, oggi, una santità e una mistica integrata e integrale. Oggi riconosciamo che le ferite che segnano il corpo e lo spirito di san Francesco non lo rendono un essere celeste, ma ci consegnano l’immagine viva di Cristo proprio in un’umanità fragile e ferita, percossa e amata incondizionatamente. Un annuncio di speranza per tanti!”           

lunedì 14 ottobre 2024

“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta” - Il primo acquedotto di Jesi


Ricorderemo questa estate per le temperature roventi e per i preoccupanti livelli di siccità.

L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha registrato, nelle Marche, uno scenario di “severità idrica”, definizione tecnica che sintetizza uno stato di rilevante criticità: le portate in alveo risultano inferiori alla media, il fabbisogno di acqua è superiore alla norma, i volumi accumulati negli invasi e nei serbatoi non sono in grado di garantire i consueti tassi di erogazione per gli utilizzi idropotabili, irrigui e industriali.

Questa congiuntura rende probabili danni al sistema economico e impatti negativi sull'ambiente.

Dalla realtà in atto, dovremmo trarre alcuni insegnamenti.

E’ necessaria una crescita di sensibilità della popolazione per un utilizzo appropriato delle risorse idriche, con l’obiettivo di scongiurare sprechi e dispersioni.

Nel contempo, deve aumentare il grado di responsabilizzazione delle istituzioni pubbliche sulle questioni dell’impiantistica idraulica e della manutenzione delle reti.

La banalità del gesto quotidiano di aprire un rubinetto sminuisce la necessaria consapevolezza sull’estrema complessità del sistema di approvvigionamento: dalla captazione alla sorgente fino alla distribuzione nelle nostre case.

Meritano riconoscenza quegli amministratori comunali che, agli inizi del ‘900, dedicarono il loro impegno alla costruzione degli acquedotti.

Non dimentichiamo che appena un secolo fa, l’attingimento dell’acqua per usi domestici veniva ancora effettuato attraverso punti di rifornimento collettivo.

E’ il caso, per quanto riguarda Jesi, della Fontana dei leoni, collocata al centro della Piazza del Plebiscito (l’odierna Piazza della Repubblica) alla quale si aggiungevano altre fonti periferiche: Tornabrocco, Piccitù, San Marco, San Giovanni, San Floriano, Porta Valle, Mastella.

L’acquaiolo, dietro compenso, prelevava l’acqua dalle fontane pubbliche, per poi trasportarla ai clienti su carretti muniti di appositi fori per la sistemazione in sicurezza delle brocche in terracotta.

La memoria popolare tramanda il ricordo di Nennè (Anna Stacchini), l’acquaiola impegnata, fino a tarda età, ad effettuare consegne con un pesante carriolo a sei buche.

Per diversi secoli, le fontane cittadine vennero alimentate con l’acqua proveniente dalla sorgente di Fontesecca (toponimo alquanto singolare!) situata nella zona dove sorgeva la chiesa di San Francesco al Monte (attuale Casa di Riposo in via Gramsci).

Nel 1890, durante la sindacatura del marchese Luciano Honorati, vennero avviati i primi studi per la costruzione dell’acquedotto cittadino.

Soltanto 22 anni dopo, nel 1912, si completò la progettazione dell’opera per la quale fu previsto uno stanziamento pari ad un milione e 96 mila lire. L’avvio dei lavori porta la data del 10 agosto 1913, mentre era a capo dell’Amministrazione il repubblicano Gugliemo Gatti.

La spinta definitiva per la realizzazione dell’acquedotto, è riconducibile all’azione di Giuseppe Abbruzzetti, Sindaco liberale in carica durante la prima guerra mondiale.

Anche grazie all’impiego forzato dei prigionieri austriaci, l’impianto idrico fu costruito in meno di quattro anni ed attivato nel 1917.

Un intervento, per l’epoca, di dimensioni ingegneristiche colossali: una tubazione in acciaio lunga oltre 36 chilometri collegava la sorgente di Rio delle Grotte (situata località Trocchetti di Albacina) alla nostra città.

Finalmente l’acqua corrente era a disposizione degli jesini!

Con un avviso pubblico datato 20 febbraio 1918, il Sindaco Abbruzzetti aprì la sottoscrizione per gli abbonamenti all’uso dell’acqua potabile.

Gli interessati - previa domanda in carta da bollo da una lira - potevano esprimere un’opzione tra cinque tipologie di fornitura: 1000 litri al giorno (costo 55 lire annue), 750 litri (45 lire annue), 500 litri (30 lire annue), 250 litri (18 euro annui) e 125 litri (10 lire annue).

L’acquedotto di Trocchetti è rimasto in funzione per oltre sessanta anni anni, fino all’attivazione, negli anni ‘80, del nuovo impianto di Gorgovivo, la cui acqua ha un grado di durezza di meno della metà di quella di Rio delle Grotte.

A Trocchetti rimane, comunque, una straordinaria testimonianza architettonica di quel primo acquedotto. Attraverso un sentiero, è ancora raggiungibile l’edificio di servizio su cui campeggia, a caratteri cubitali, la scritta Aesinae Genti, simbolo orgoglioso della jesinità.

Nel periodo primaverile, una cascata di oltre venti metri lambisce una parete della struttura, immersa in un bosco.

Noi contemporanei, oltre ad essere grati per la lungimiranza degli avi, siamo chiamati a riflettere sul valore dell’acqua, riconoscendone, ora più che mai, quella preziosità già mirabilmente cantata - esattamente 800 anni fa - da Francesco d’Assisi:

Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”.


Mauro Torelli



 

mercoledì 18 settembre 2024

“Nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi”




Otto secoli fa, sul monte della Verna, Francesco di Assisi riceveva le stimmate: secondo le parole di Bonaventura da Bagnoregio, “nelle sue mani e nei suoi piedi, incominciarono ad apparire segni di chiodi”. Un episodio che ha ispirato grandi artisti, come Giotto, o (forse) Coppo di Marcovaldo nella Pala Bardi a Firenze, il Maestro di san Francesco nella basilica inferiore di Assisi, o Bonaventura Berlinghieri nella chiesa di san Francesco a Pescia.

L’intera vita del Poverello ha affascinato i grandi: oltre a Giotto, van Eyck, Filippo Lippi, Raffaello, Pinturicchio, Caravaggio, tanto da farci chiedere come mai un uomo che aveva deciso di farla finita con la società e la sua cultura sia divenuto poi protagonista non solo dell’arte, ma della letteratura e della musica.
Lo stesso Franz Liszt, quando a Villa d’Este di Tivoli compose la prima delle due Leggende, dedicata a san Francesco che predica agli uccelli (l’altra era su San Francesco di Paola), chiese perdono per aver “impoverito” la ricchezza di un testo e di un’esistenza che non hanno eguali.
Per non parlare di musical come “Forza venite gente” che hanno affascinato l’immaginario collettivo di giovani che avevano abbandonato la fede, o di un album di Angelo Branduardi, oltre che a molte altre canzoni “leggere”, quanto si vuole, ma che non si sono sottratte al fascino senza tempo del Poverello.
Il fatto è che Francesco ha attirato a sè non solo credenti, ma anche scettici o intellettuali orientati in senso materialista, come è accaduto ad uno scrittore italiano del Novecento, Paolo Volponi, attento alla questione operaia, che vide nel Cantico di Frate Sole il mirabile apparire di un pensiero che rivalutava quella che lo scrittore chiamava la materia, vale a dire il creato, le piante, gli animali. Ed un altro scrittore e critico, stavolta cattolico, Carlo Bo, sosteneva che quel Cantico e la vita tutta del santo erano un vero e proprio attacco all’economia d’occidente.
Ma una delle radici di tutti i richiami successivi a Francesco è certamente il Dante dell’undicesimo canto del Paradiso, uno degli episodi dell’intera Commedia in cui la struttura retorica e metrica fa fatica a contenere la commozione di fronte ad una scelta talmente affascinante da spingere Bernardo, Egidio e Silvestro ad abbandonare tutto per seguire scalzi quello che molti ritenevano un folle.
Si parlava prima di un fascino che ha raggiunto non solo i cattolici: si pensi a Hermann Hesse e ai suoi due viaggi in Italia, quando, pur avendo alle spalle una famiglia missionaria protestante, e sulla via della scoperta dell’oriente e del Buddha, rimase, al contrario di Goethe, talmente colpito dalle testimonianze scoperte ad Assisi da scrivere un libro intero sul santo, chiamandolo commosso “saluto di Dio alla terra”.
Chesterton, nel suo libro dedicato a Francesco, sosteneva come il santo avesse sconfitto il dualismo cataro, convinto che la materia fosse il male e lo spirito il bene. Il santo d’Assisi dimostrò come l’amore fosse il punto di unione tra l’anima e una natura di splendente bellezza, donatoci da Dio. Una provocazione non solo nei confronti dei Catari, ma di tutti noi.
Non è un caso che l’esempio di Francesco abbia affascinato Carducci, massone non tenero con la Chiesa: in “Santa Maria degli angeli” emerge una commossa evocazione da parte di un uomo che abbandona per un attimo la sua ostilità alla religione per cercare una traccia di Francesco nella campagna umbra.
Senza tralasciare le varie trascrizioni filmiche da parte di Zeffirelli, di Liliana Cavani, e, in un rovesciamento al femminile della conversione francescana, l’ Özpetek di “Cuore sacro”, ovviamente non molto apprezzato da parte di una certa critica che non tollera “invasioni” che sappiano lontanamente di Altro.

fonte: Marco Testi, 

domenica 28 luglio 2024