Papa Giovanni si era
alzato a notte fonda e pensò che avrebbe dovuto affrontare una giornata molto
intensa.
Rivolse una preghiera a
Maria e a Francesco, come per annunciare che, appena qualche ora dopo, si
sarebbe presentato nelle loro case. Aveva bisogno della loro intercessione, in
vista dell’imminente apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Un treno, messo a
disposizione dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, lo stava aspettando
nella piccola stazione vaticana per le ore 6.30.
Era la prima volta che un
Pontefice utilizzava un convoglio ferroviario, con partenza dai Sacri Palazzi.
Amintore Fanfani,
Presidente del Consiglio in carica, lo avrebbe accompagnato durante il viaggio,
salendo dalla stazione Tiburtina.
Il tragitto avrebbe segnato
soltanto due tappe, a Loreto e ad Assisi, con successivo rientro a Roma nella
serata dello stesso giorno: 4 ottobre 1962, festa del patrono d’Italia.
Settecento chilometri di
strada ferrata, durante i quali l’ottantunenne Papa, già malato, sarebbe
rimasto continuamente affacciato al finestrino per ammirare il paesaggio
umbro-marchigiano ma, soprattutto, per rispondere al saluto affettuoso delle
migliaia di persone che avevano invaso le stazioni.
Orte, Terni, Foligno e
poi Jesi dove lo attesero in 15 mila.
Sulla banchina di viale
Trieste, presenziò il Vescovo Giovanni Battista Pardini, attorniato dal
Capitolo e dai sacerdoti della Diocesi di San Settimio.
Il Vicesindaco Vittorio Massaccesi, partecipò all’evento
in rappresentanza della Giunta Borioni.
Racconta l’anonimo
cronista di Voce della Vallesina (ma è palesemente riconoscibile lo stile del
Direttore don Costantino Urieli): “Chi è rimasto nelle proprie case? Le
fabbriche, le officine, i negozi si sono chiusi, mentre le sirene delle
fabbriche fischiavano, le campane delle chiese squillavano e il campanone di
Palazzo della Signoria scandiva il momento storico che Jesi stava vivendo”.
In effetti, l’ultima
visita di un Papa a Jesi risaliva ad oltre un secolo prima, allorquando il 25
maggio 1857 Pio IX fu accolto in città su invito del Cardinale Luigi Morichini.
Evento di forte impatto, non solo per ragioni spirituali, ma anche per le sorti
economiche del territorio: Papa Mastai colse l’occasione per comunicare che il
tracciato della ferrovia di collegamento tra Roma e l’Adriatico (all’epoca in
fase di progettazione), avrebbe sicuramente
attraversato la valle del fiume Esino.
Profondamente diversi,
nel 1962, il contesto storico e il ruolo del Papa: “Non era il Sovrano di
uno stato terreno, quale lo videro e lo acclamarono gli jesini 105 anni or
sono. Ora era il Sovrano di tutto il mondo; di un mondo e di una società nuova
che in umiltà di spirito e in gesto di infinito amore raccoglieva ed interpretava
ufficialmente, quale Vicario di Cristo, le ansie e le speranze di tutta
l’umanità”.
A tutt’oggi, si trattò
dell’ultimo transito di un Papa nella nostra terra: “Un passaggio rapido e
fugace – scrive, ancora Voce – ma nel cuore di tutti è rimasta la
dolcezza di quel sorriso buono e paterno, di quella benedizione ampia e
cordiale. Il Papa ha benedetto Jesi. Nel suo gesto calmo e sereno, nella
profonda semplicità del suo sguardo colmo di amore verso la città di Pergolesi,
un nuovo cammino, un nuovo auspicio di pace e di bene si è aperto per Jesi e
per la Vallesina ”.
Il treno proseguì per
Ancona, per poi raggiungere Loreto e la Santa Casa di Maria di Nazareth (chiamata
da Papa Giovanni con l’appellativo di “Prima stella del Concilio”) e, di seguito,
Assisi (“Qui siamo veramente alle porte del Paradiso”).
Attorno a mezzanotte,
rientrato a Roma, il Papa annotò nel suo diario: «Questa è data da scriversi
aureo colore nella mia vita: il pellegrinaggio che volli fare - e pochi giorni
bastarono al concepirlo, al farlo e a riuscirvi con l’aiuto del Signore - alla
Madonna di Loreto e a san Francesco di Assisi, come a implorazione
straordinaria di grazia per il Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo pensai, al
solito, con semplicità, lo decisi: il cardinale Segretario di Stato se ne
interessò con vivo trasporto. Scrivo questa nota al termine della giornata che
di fatto resterà una delle più sante e felici del mio umile pontificato».
Mauro
Torelli
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